giovedì, 21 novembre 2024
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Pakistan al voto, tra molte tensioni

Crescono gli attentati, gli squilibri sociali e i rimpatri forzati

Il Pakistan, quinto Paese per popolazione al mondo con ormai oltre 242 milioni di persone residenti, e unica potenza nucleare governata da musulmani (in cui, da pochi giorni, è ambasciatrice la trevigiana Marilina Armellin), da mesi si dimena tra forti tensioni interne, corruzione dilagante, crisi economica e la presenza stabile di gruppi e movimenti terroristici.

Istantanea. Anche se di questo Paese - incastonato tra Iran, Afghanistan, India e Cina e bagnato dal Mar Arabico - si parla poco nella stampa nostrana, si trova, comunque, a essere al centro delle riflessioni dei principali think tank mondiali e delle agende delle diplomazie di molti Paesi occidentali.

Considerato tecnicamente come un Paese in via di sviluppo, il Pakistan negli ultimi anni sta conseguendo dei livelli di crescita economica rilevanti, seppure in presenza di forti divari sociali, e punta a entrare nei Brics. A livello di coesione dei diversi gruppi etnici presenti, il progetto di uno Stato nazionale basato solo sulla religione islamica non decolla, ed è una delle ragioni della sua tradizionale instabilità politica. Le istituzioni e le ricchezze appartengono ai militari.

Le migrazioni interne e il fenomeno della crescita smisurata delle città hanno contribuito a complicare il quadro etnico del Paese: rimescolando la composizione della popolazione urbana, in situazioni di diffusa povertà e mancanza di servizi di base, le migrazioni interne hanno alimentato scontri interetnici tra gruppi autoctoni preesistenti e nuovi arrivati.

Prossimo alle elezioni (8 febbraio), con un’economica sostanzialmente in crisi e un’inflazione del 30%, emergono crescenti tensioni sociali verso la classe politica e nei confronti dell’esercito, ma anche verso le minoranze etniche e religiose presenti.

Basterebbe, infatti, un errore da parte dell’esercito per generare rivolte inarrestabili e, forse, un bagno di sangue senza precedenti.

Un Paese in movimento. Un’ancora di “salvezza” importante da parte della popolazione pakistana (e non solo) è rappresentata dalla fuga all’estero: le stime per il 2023 parlano di quasi 2 milioni di persone fuggite dal “regime ibrido” di Islamabad.

Molti di questi hanno come obiettivo l’Europa, e lo confermano i crescenti arrivi anche nei nostri territori.

Dobbiamo ricordare che il saldo migratorio è solo leggermente negativo in quanto, secondo le stime dell’Unhcr, nel Paese si contano circa 3 milioni e mezzo di rifugiati che vivono in condizioni di povertà estrema, a cui si devono aggiungere più di 2 milioni di migranti irregolari (1,7 profughi provenienti dall’Afghanistan).

Rimpatri forzosi. Anche a causa della scarsità di risorse economiche e di un sistema di welfare, il Governo centrale di Islamabad ha iniziato rimpatri forzosi dei profughi afghani (ndr, la maggiore comunità presente), con sistematiche violazioni dei diritti umani - secondo Amnesty international e Human rights watch - che continuano a essere perpetrati impunemente. Sono state, ad esempio, costruite varie strutture per il trattenimento forzato e il successivo rimpatrio dei profughi afghani mediante espulsione immediata dal territorio nazionale imposta dal governo di Islamabad.

Un ritorno pericoloso. Vi è forte preoccupazione da parte delle ong per le potenziali ritorsioni sulla vita degli afghani costretti a ritornare nel Paese dal quale erano fuggiti, dal 2021 in mano ai talebani. Inoltre molti di loro non avrebbero un luogo dove andare e senza una casa non avrebbero accesso a servizi fondamentali e a mezzi di sostentamento, senza contare che siamo nel pieno della stagione fredda.

Seppure la decisione adottata dal Governo pakistano di espellere i rifugiati privi di documenti sia stata motivata da questioni definite “di sicurezza nazionale”, da più parti si osserva che essi non rappresentano più un “buon affare” per il Governo, perché, a seguito degli effetti sull’economia globale del Covid e della guerra in Ucraina, si sono quasi azzerati gli aiuti esteri.

Scenari intrecciati. L’esito elettorale ci darà il polso anche di cosa stia bollendo in pentola tra i gruppi radicali pakistani, visto che gli eventi di Gaza – e il loro allargamento territoriale dopo gli ulteriori attacchi in Libano e in Yemen – rischiano di innescare una nuova ondata di jihadismo.

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