Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Guerra in Medio oriente, siamo al punto di non ritorno
Dopo l’attacco con più di 300 tra droni e missili da crociera, lanciati dall’Iran e dai suoi alleati regionali (Ansar Allah degli Houthi dello Yemen, le milizie sciite irachene e Hezbollah libanesi) contro obiettivi militari israeliani, “si aprono prospettive future non rosee. L’entrata diretta dell’Iran, in un contesto regionale critico segnato anche dalla guerra scoppiata il 7 ottobre scorso tra Israele e Hamas, rappresenta un punto di non ritorno dal punto di vista diplomatico, militare e sociale. Non era mai accaduto prima”. Ad affermarlo è Claudio Bertolotti, esperto dell’Ispi e direttore di Start insight, Strategic analysts and Research team (http://www.startinsight.eu).
Azione fallimentare
L’attacco portato dall’Iran, secondo quanto riferito dall’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, Amir Saed Iravani, è stato “un atto di autodifesa” dopo il raid aereo israeliano del 1° aprile scorso a Damasco, contro un edificio governativo iraniano. “Sul piano militare - spiega l’esperto - il risultato dell’azione iraniana è stato fallimentare. Lo scopo era quello di «saturare» il sistema di difesa aerea israeliana, lanciando un gran numero di droni, per poi colpire gli obiettivi con i missili balistici”. Il 99% dei missili e droni è stato intercettato e abbattuto dal sistema di difesa Iron dome israeliano, affiancato da Usa, Gran Bretagna, Francia e Giordania. L’attacco, osserva l’esperto, se è stato fallimentare da un punto di vista tattico, sul piano politico “è servito a fronteggiare le difficoltà interne che il regime degli ayatollah sta avendo con un dissenso, anche di natura «generazionale», che da silenzioso sta diventando sempre più rumoroso. Ritorna, così, la vecchia strategia di trovare un nemico esterno che minaccia l’integrità e l’onore dell’Iran. Strategia che funziona ancora bene. E’ proprio in questo senso che andrebbero lette le immagini delle manifestazioni di piazza, con tanti iraniani esultanti per l’attacco contro Israele”. Ma c’è un altro aspetto che deve essere tenuto presente, afferma Bertolotti: “L’Iran ha sempre chiesto, restando nell’ombra, ai suoi alleati regionali di combattere una guerra comune contro Israele. Questa volta, però, anche per una questione di leadership, di equilibri e di tenuta di questo «Asse della resistenza», l’Iran ha valutato di non potersi più tirare indietro, e di dover dare una risposta diretta”. Se non lo avesse fatto, sottolinea il direttore di Start insight, “questo Asse si sarebbe indebolito, lasciando Teheran da sola ad affrontare Israele”.
Prospettive future
Cosa accadrà adesso che l’Iran è uscito allo scoperto? “Conteranno molto le volontà politiche - risponde Bertolotti -. I blocchi non sono omogenei: il ruolo di Russia e Cina nei confronti dell’Iran non è esplicito, almeno in questo momento. L’Ue non ha una visione comune e gli Usa vanno verso il voto presidenziale. Biden, che pure auspica un cambio di regime in Iran, non vuole questa guerra, perché la componente arabo-musulmana, significativa nel potenziale elettorato democratico, non apprezza la gestione del conflitto tra Israele e Hamas. Il timore di perdere voti è grande. A questo punto solo un «azzardo» di Benjamin Netanyahu potrebbe inevitabilmente coinvolgere gli Usa in una guerra”. Tuttavia, conclude Bertolotti, quanto accaduto in queste ore potrebbe rimettere in moto “quel processo di normalizzazione a livello regionale, avviato con gli accordi di Abramo, firmati il 15 settembre alla Casa Bianca a Washington da Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, e conseguentemente di indebolimento dell’Iran”.
Patton: urgente accordo su Palestina
“Una reazione soprattutto dimostrativa per recuperare credibilità sia sul piano interno che su quello regionale e internazionale”: così il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, definisce l’attacco iraniano. “Siamo stati svegliati da questo fitto lancio - ricorda il Custode che vive a Gerusalemme -, poi neutralizzato quasi completamente dal sistema Iron dome israeliano. Tutti qui si aspettavano una reazione da Teheran”. I rischi escalation, aggiunge il religioso, “fortunatamente sembrerebbero scongiurati dopo che il presidente Usa, Biden, ha avvertito il premier israeliano Benjamin Netanyahu che non sosterrà Israele qualora quest’ultimo decidesse di rispondere, a sua volta, all’attacco iraniano”. Quanto accaduto la notte tra il 13 e il 14 aprile, sottolinea Patton, “rimette sul tappeto anche altre questioni, a cominciare dal conflitto in corso a Gaza, dal 7 ottobre. E’ urgente trovare un accordo per una tregua invocata oramai da gran parte della Comunità internazionale, per garantire l’arrivo e la distribuzione degli aiuti umanitari e, soprattutto, è prioritario riprendere la discussione sulla questione palestinese, chiave risolutiva di tutti i conflitti e tensioni mediorientali, per trovare una soluzione politica”, come chiesto domenica da papa Francesco durante il Regina Caeli.
L’appello del Papa
“Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, – sono state le parole del Pontefice – le notizie giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa dell’intervento da parte dell’Iran. Faccio un accorato appello affinché si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza, col rischio di trascinare il Medio Oriente in un conflitto bellico ancora più grande. Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui. Tutte le Nazioni si schierino, invece, dalla parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza. E’ un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini”.