Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Clima estremo, nel mondo e da noi
L’estate che non sembra arrivare a causa di ripetuti passaggi instabili con piogge torrenziali, trombe d’aria, spiagge erose dalle maree, isole di calore con oltre 50 gradi in alcune città. Nel resto del pianeta la situazione non cambia. Sono giorni bollenti effetto del riscaldamento globale, mentre ai Caraibi c’è l’allarme per l’arrivo dell’uragano Beryl primo effetto dell’inversione di rotta da El Niño a La Niña.
Dopo le temperature da record del 2023, luglio e agosto 2024 si prospettano ancora più caldi secondo i modelli climatici con un aumento nella frequenza delle ondate di calore e quindi di temporali e di grandinate. Tutto previsto? In parte sì, a leggere l’ultimo rapporto sul fenomeno meteorologico “El Niño”, che negli ultimi tre anni ha causato un aumento delle temperature globali, pubblicato a inizio mese dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM). Le proiezioni per i metereologici sono però ottimistiche, nonostante il cambio del clima che sono sotto gli occhi di tutti con forti precipitazioni e sbalzi di temperature, scioglimento dei ghiacciai e siccità perenni in ampie aree del Pianeta.
Perché questo nome? El Niño, che letteralmente dallo spagnolo significa “Il Bambino”, è un periodico fenomeno che provoca un riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico vicino alle coste dell’America del Sud e avviene di solito ogni 2-7 anni. È stato chiamato così dai pescatori sudamericani - che lo hanno osservato almeno a partire dal Seicento - perché spesso raggiunge le punte massime nel periodo di Natale, cioè quando si celebra la nascita del Bambino Gesù. Questo riscaldamento dura alcuni mesi (abitualmente per circa 9-12 mesi, ma talvolta anche per anni) e si alterna con “La Niña“, una fase di raffreddamento.
Cosa ci attende? Secondo i meteorologi El Niño ha terminato la sua intensità a vantaggio del fenomeno de La Niña, il che vuol dire che le condizioni meteo neutre potrebbero durare a lungo. La probabilità di ritorno a La Niña nel periodo luglio-settembre di quest’anno è stimata al 60% con alta probabilità di protrarsi fino a gennaio 2025, si legge nel rapporto, in cui si afferma che gli ultimi 9 anni sono stati il periodo più caldo mai registrato. L’effetto di raffreddamento de La Niña – con temperature invernali sono più calde del normale nell’emisfero meridionale e più fredde del normale in quello settentrionale – ha alta probabilità di determinare uragani molto più forti nell’Atlantico.
Se come ha dichiarato Ko Barrett, vicesegretario generale dell’OMM, nel rapporto che “dal giugno 2023 ogni mese sia stato battuto un nuovo record di temperatura” e “il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato”, stando a quanto rilevato dai meteorologi in queste settimane di giugno le temperature superficiali del mare sono ben al di sotto delle medie climatiche nella maggior parte del Pacifico equatoriale con effetti di eventi estremi anche nel nostro Paese.
E intanto continuano ad arrivare le polveri dal Sahara come quelle dei giorni scorsi a oscurare il cielo di fine giugno.
Per capire l’impatto che questi fenomeni hanno a livello globale abbiamo posto alcune domande a Reena Ghelani, Coordinatrice delle crisi climatiche dell’Onu per la risposta a El Niño/La Niña.
Come sta El Niño?
L’attuale fase del fenomeno El Niño, iniziata nel luglio dello scorso anno, è diventata una delle cinque più forti dal 1950. Infatti, le temperature della superficie del mare registrate nell’Oceano Pacifico sono state di 2°C superiori alla media di tre mesi. In confronto, durante El Niño più forte mai registrato nel 2015-2016, l’anomalia della temperatura calcolata nell’Oceanio era stata di 2,6°C. Anche se siamo ormai entrati in una fase neutrale dell’oscillazione meridionale de El Niño e la sua fase di riscaldamento è ufficialmente terminata, gli effetti sull’uomo di questo fenomeno si fanno ancora sentire e continueranno a colpire le persone fino al 2025. Questo sarà particolarmente vero per diversi paesi dell’Africa meridionale, che hanno sperimentato una siccità record all’inizio del 2024, con temperature di 5°C sopra la media e il febbraio più secco degli ultimi 100 anni. Questa storica siccità ha danneggiato i raccolti e spinto le persone alla fame acuta. Ci aspettiamo che l’insicurezza alimentare nella regione peggiori fino al prossimo raccolto nell’aprile 2025.
Lei sta girando per il mondo a coordinare gli interventi dell’Onu. Potrebbe farci una fotografia degli effetti del Niño nell’ultimo anno?
A livello globale, sono colpiti circa 18 paesi, con 50-60 milioni di persone a rischio, tra cui oltre 30 milioni di persone nella sola Africa meridionale, con Angola, Lesotho, Malawi, Mozambico, Namibia, Zambia e Zimbabwe tra i più colpiti. Quattro paesi (Malawi, Namibia, Zambia e Zimbabwe) hanno dichiarato l’emergenza nazionale. Nell’Africa orientale, forti piogge e inondazioni causate da El Niño hanno colpito parti della regione, tra cui Burundi, Etiopia, Kenya, Ruanda, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda, colpendo più di 5,2 milioni di persone. Ulteriori inondazioni degli scorsi mesi di aprile e maggio (anche se non attribuite a El Niño) hanno ulteriormente eroso le infrastrutture e l’accesso ai servizi, danneggiando i raccolti, i terreni agricoli e le strutture idriche e igienico-sanitarie. In America Latina, gli effetti di El Niño si sono ripercorsi in tutto il continente sud e centro americano, causando inondazioni e siccità in diversi paesi, in particolare Colombia, Perù, Bolivia ed Ecuador, e nel ‘Corridoio Secco’ (Honduras, Guatemala e Nicaragua). La siccità ha colpito almeno 1,3 milioni di persone; le forti piogge hanno colpito 500.000 persone in Bolivia e milioni in Brasile. In Asia e nel Pacifico, la siccità ha colpito diversi paesi, tra cui Filippine, Vietnam e Laos, ma anche Papua Nuova Guinea e Timor Est. Al contrario, l’Afghanistan e il Pakistan hanno registrato forti piogge e inondazioni, mentre la Mongolia ha avuto un inverno eccezionalmente rigido.
Quelli da lei citati li possiamo considerare come i Paesi più vulnerabili da un punto di vista climatico?
La maggior parte dei paesi più colpiti oggi da El Niño sono anche tra i più vulnerabili agli effetti della crisi climatica. L’episodio aggiunge un ulteriore livello di vulnerabilità ai paesi già colpiti da conflitti, crisi economica e ripetuti shock climatici. Questa fase di manifestazione del fenomeno di El Niño si svolge su un pianeta molto più caldo di 50 anni fa. Il 2023 è già stato l’anno più caldo mai registrato. Di conseguenza, le ondate di caldo e la siccità sono molto più gravi e il riscaldamento degli oceani sta alimentando tempeste più intense. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), che è la principale autorità nel campo della scienza del clima, stima che il cambiamento climatico stia aumentando la frequenza e l’intensità dei rischi. In un rapporto del 2021, l’IPCC ha stimato che il numero di persone che soffrono di siccità estrema in tutto il mondo potrebbe raddoppiare in meno di 80 anni e che le inondazioni potrebbero aumentare del 7% per ogni grado C di riscaldamento globale.
Quali scelte è auspicabile che gli Stati facciano per affrontare la crisi climatica?
Tutti hanno un ruolo da svolgere nell’affrontare la crisi climatica: i governi, le istituzioni regionali, la comunità internazionale, ma anche il settore privato e i singoli individui. Tuttavia, la guida dei governi è essenziale per definire le politiche nazionali, in particolare quando si tratta di transizione energetica. È fondamentale disporre di strategie e piani nazionali sul clima chiari e quantificati per guidare gli sforzi collettivi, e attendiamo con impazienza una rinnovata ambizione alla COP29 (ndr si terrà a novembre a Baku). A mio avviso, la questione climatica non dovrebbe limitarsi ai piani di adattamento e mitigazione del clima, ma dovrebbe essere integrato in tutti gli aspetti della pianificazione dello sviluppo, come la preparazione alle catastrofi, la costruzione di infrastrutture, la pianificazione sanitaria, gli investimenti agricoli, ecc. rafforzare il buon governo, espandere i servizi pubblici e sociali efficaci e porre fine ai flussi finanziari illeciti. Un dato per capire questa complessità. Si stima che i flussi illeciti costino al continente africano 50 miliardi di dollari l’anno, poco più dell’intero budget globale degli aiuti.
Il recente rapporto Omm indica una probabilità del 60-80% che l’altro fenomeno, La Niña, si verifichi entro la fine dell’anno. A suo parere possiamo essere ottimisti per i prossimi anni?
Siamo preoccupati per lo sviluppo del rischio del fenomeno La Niña, la fase di raffreddamento dell’oscillazione meridionale di El Niño. La Niña generalmente rallenta e inverte gli effetti di El Niño e può durare fino a tre anni (a differenza di un solo anno per El Niño). Sulla base degli episodi precedenti, possiamo aspettarci condizioni di siccità nel Corno d’Africa, in Asia centrale, in Sud America e nella parte meridionale degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, possiamo aspettarci forti piogge e inondazioni nell’Africa meridionale, nel Sudan e nel Sud Sudan, nel Sud-est asiatico, nella parte settentrionale del Sud America e in Australia. Ci stiamo anche preparando a un maggior numero di cicloni nell’Oceano Indiano e a una stagione degli uragani più forte nell’Atlantico, con alcuni meteorologi che prevedono circa 24 tempeste, di cui almeno 6 di categoria superiore a 3 (rispetto alle 3 di un anno tipico). È anche importante notare che alcuni impatti potrebbero essere positivi, contribuendo in una certa misura a rilanciare l’agricoltura e la pesca. Analizziamo anche gli andamenti dei recenti episodi ENSO. Ci sono segnali di un aumento della frequenza e dell’intensità di questi episodi, che potrebbero essere collegati al riscaldamento globale, anche se gli scienziati del clima non hanno ancora raccolto prove sufficienti per confermarlo. In ogni caso, gli effetti combinati degli episodi di El Niño e dei cambiamenti climatici porteranno inevitabilmente a disastri climatici più frequenti e gravi. Il numero di disastri legati al clima è già aumentato del 35% negli ultimi tre decenni e, secondo alcune stime, entro il 2050 potremmo vederne fino a 10 a settimana. Solo negli ultimi 5 anni, hanno colpito fino a 1,7 miliardi di persone, la maggior parte delle quali nei paesi in via di sviluppo. Nonostante queste sfide, rimango ottimista sul fatto che abbiamo le competenze e le risorse per invertire la tendenza e intraprendere una transizione verde che sarà una tripla vittoria: per lo sviluppo economico, per il benessere di milioni di persone e per gli ecosistemi.
Di fronte a questi cambiamenti estremi i Paesi più colpiti potrebbero non essere in grado di riprendersi e assorbirli...
Questo è il punto centrale e il motivo per cui crediamo che l’azione per il clima dovrebbe concentrarsi maggiormente sulle persone che vivono in paesi che hanno contribuito meno alla crisi climatica ma che stanno affrontando i suoi impatti peggiori. Il continente africano, ad esempio, è responsabile di meno del 4% delle emissioni globali di gas serra. Tuttavia, riceve una piccola parte dei finanziamenti per il clima. Un recente rapporto sui flussi di adattamento climatico ha mostrato che il continente africano, ad esempio, ha ricevuto solo 13 miliardi di dollari all’anno in flussi di adattamento climatico, su 1,3 trilioni di dollari spesi ogni anno in finanziamenti per il clima. La maggior parte di questo denaro viene erogato sotto forma di prestiti anziché di sovvenzioni ed è concentrato solo in pochi paesi. Nel complesso, i finanziamenti per il clima stanno aumentando in modo significativo, ma i paesi più colpiti dalla crisi climatica non ricevono ciò di cui hanno bisogno per adattarsi e diventare più resilienti agli shock climatici, e il divario si sta ampliando. Altri rapporti mostrano che tra il 2014 e il 2021, i finanziamenti provenienti da quattro fondi climatici sono ammontati a 161 dollari pro capite per gli stati non fragili rispetto a soli 2,1 dollari pro capite per gli stati estremamente fragili.
Non basta affidarsi ai modelli previsionali per risolvere la questione climatica. Le piogge si fanno più intense in alcune regioni e la siccità in altre, il livello dei mari si innalza e alcune città sono a rischio di estinzione... Come potrebbero le scelte delle singole persone dare un impulso alla politica per un cambio di rotta?
Credo che se dimostriamo ai nostri leader che ci teniamo, possiamo influenzare il processo decisionale. Abbiamo visto in diverse occasioni come la mobilitazione giovanile sulle questioni climatiche abbia contribuito a cambiare le decisioni politiche. Le soluzioni e le risorse esistono, ciò di cui abbiamo bisogno è la volontà politica. Ad esempio, l’anno scorso, il mondo ha speso 2,4 trilioni di dollari in ambito militare. Questa è la quantità di denaro necessaria ogni anno per raggiungere i nostri obiettivi di azione per il clima e colmare le lacune di finanziamento in materia di mitigazione e adattamento. I soldi ci sono, ma non stanno andando nel posto giusto... Mi sento ispirata nel mio incarico dalla motivazione e dalla determinazione di alcuni dei giovani attivisti per il clima che ho incontrato negli ultimi mesi. Persone come Vanessa Nakate, ad esempio, che ho incontrato al Summit africano sul clima di settembre, stanno aiutando a mobilitare i giovani e ad educare le persone sui social media. Dobbiamo aiutarli ad amplificare il loro messaggio.