Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Trump e l'altra America
"Se le democrazie occidentali, oltre a garantire le libertà individuali, non si impegnano anche a favorire l’inclusione dei poveri e dei ceti più deboli, sanando o contenendo l’ingiusto divario sociale ed economico tra la popolazione e governando i conflitti sociali, finiscono per esplodere al loro interno, dando esca al populismo"
Il 6 gennaio, con l’assalto da parte dei seguaci del presidente Donald Trump al Campidoglio, sede del Parlamento Usa e simbolo della democrazia rappresentativa, abbiamo provato tutti un certo smarrimento e ci siamo chiesti che cosa stesse succedendo negli Stati Uniti.
Una pur legittima contestazione dei risultati elettorali, anche se confermati da tutti i 50 Stati dell’Unione, è scaduta, su istigazione dell’incontrollabile Trump, in una sorta di insurrezione, con morti e feriti, che ha trascinato e travolto il partito Repubblicano e moltissimi tra i suoi 73 milioni di elettori.
Sapevamo tutti che il Presidente uscente, come ogni narcisista, non era uomo che accettasse critiche e tanto meno di perdere battaglie. Molti, però, non pensavano che potesse arrivare, per la smania di potere, a far precipitare il Paese in questa violenta rappresentazione di delirio populista.
Trump, sin dalla campagna elettorale che lo ha portato alla Casa Bianca, ha saputo, come tutti i populisti e nazionalisti, dare voce e rappresentanza ad una vasta area sociale degli Usa che si sentiva tradita e abbandonata dalle istituzioni democratiche. Con scaltra e furbesca intelligenza ha saputo intercettare e amplificare ciò che veniva ignorato da altri, anche dal suo stesso partito.
Così che, la sua azione politica divisiva e spesso anti istituzionale, ha messo in luce nella sua drammaticità ciò che molti conoscevano o intuivano, ossia che gli Stati Uniti sono un Paese diviso, con grandi contraddizioni e disuguaglianze (pensiamo solo all’assistenza sanitaria) e con milioni di poveri e di emarginati. All’estero si è sempre rappresentato come una nazione forte e sostanzialmente unita. Ora, tra il compiacimento delle altre grandi potenze, come Russia e Cina, ha mostrato che, forse, è sempre stato un gigante con i piedi di argilla.
Di sicuro, il nuovo presidente Joe Biden avrà grosse difficoltà per ridare smalto e autorevolezza nel mondo a questa “nuova” America, perché dal 6 gennaio, di fatto, è caduto per molti un mito, quello di un Paese saldo nella democrazia, potente nelle armi e ricco economicamente, che finora fungeva da stabilizzatore nel mondo e che, forse, in breve tempo potrebbe diventare un nuovo elemento di destabilizzazione.
Democrazie e populismi
Se le democrazie occidentali, oltre a garantire le libertà individuali, non si impegnano anche a favorire l’inclusione dei poveri e dei ceti più deboli, sanando o contenendo l’ingiusto divario sociale ed economico tra la popolazione e governando i conflitti sociali, finiscono, prima o poi, per esplodere al loro interno, dando esca al populismo, che parla alla pancia dell’elettorato offrendo risposte semplici a problemi complessi e, anche, al sovranismo che propina la difesa dell’identità nazionale e culturale rispetto agli altri Paesi o particolari soggetti o gruppi sociali.
Ormai è chiaro che, diversamente dal passato, i nuovi nazional populismi di destra, invece di cercare di imporsi con una dittatura, mirano a conquistare il potere attraverso le libere elezioni e poi, dopo aver occupato la democrazia, la svuotano piegando le istituzioni alla loro ideologia sovranista o suprematista e, per alcuni leader, al proprio narcisismo e ai propri interessi. Alla fine, con un po’ di intelligenza politica e un Parlamento “nominato” e asservito, si può anche aggirare il dettato costituzionale.
Il futuro di Trump
Tutti si chiedono ora come gli Usa reagiranno a questo abuso di autorità del Presidente. I democratici vorrebbero impedirgli di fare altri danni. Le strade sono due: o avviare la procedura di impeachment, ma i tempi non sono sufficienti, e poi al Senato non ci sono i numeri; oppure invocare da parte della maggioranza del Governo il 25° emendamento della costituzione che prevede la possibilità di destituire un Presidente. In entrambi i casi, però, c’è il rischio di gettare benzina sul fuoco provocando ulteriori reazioni di Trump e dei suoi supporter. Di questo il neo eletto presidente Biden è ben cosciente. Oltre tutto non è ancora chiaro che cosa pensino o vogliano fare i repubblicani, assai divisi tra di loro.
Anche perché sanno bene che di Trump avranno bisogno alle prossime elezioni di medio termine dell’8 novembre 2022, in cui saranno eletti metà dei deputati e un terzo dei senatori. Egli, infatti, ha dimostrato di disporre di un enorme serbatoio elettorale e una sorprendente capacità di manipolare e aizzare le folle. Purtroppo, come si dice, i repubblicani hanno lasciato uscire il genio dalla bottiglia e ora non riescono più a farlo rientrare. A meno che Trump, prima del 20 gennaio, non decida di dimettersi (ne avrebbe una buona scusa) e passare così per qualche giorno la presidenza al suo vice Mike Pence in modo che questi possa concedergli la grazia per le possibili pendenze giudiziarie federali che possono cadere sulla sua testa non appena lascerà la Casa Bianca. Ma qui, forse, stiamo scivolando nella fantapolitica.