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Natale e la nostra umanizzazione

La nascita di un bambino, la famiglia e le stesse fatiche e sofferenze, vissute anche dalla famiglia di Gesù, sono esperienze che ci appartengono e costituiscono, insieme alla professione, il nostro vissuto.

21/12/2020

Dal punto di vista teologico e liturgico il Natale celebra l’Incarnazione del Verbo, ossia l’assunzione da parte di Dio della natura umana, come recita il Credo: “Per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria”. Un noto teologo, spingendosi un po’ oltre, dice che il mistero dell’incarnazione si può comprendere correttamente se lo si intende come il mistero della “umanizzazione” di Dio. Per questo, Dio lo possiamo conoscere solo partendo dall’umano e da tutto ciò che è legato all’umano.

Si intuisce subito che il Natale possiede anche una forte dimensione sociale e antropologica. Per questo, infatti, è molto sentito non solo tra i cristiani ma anche a livello universale: la nascita di un bambino, la famiglia, le stesse fatiche e sofferenze, vissute anche dalla famiglia di Gesù, sono esperienze che ci appartengono e costituiscono, insieme alla professione, il nostro vissuto. Il Natale ci richiama a noi stessi, a chi siamo, ai nostri affetti più cari, ai problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno nelle nostre famiglie e, di conseguenza, alla necessità di assumere pienamente tutto ciò che umanamente ci caratterizza; intercetta e ci aiuta a interpretare il nostro vissuto e dà volto e voce ai nostri desideri di pace, solidarietà e fratellanza.

Detto questo, mi sembra che si possano evidenziare altri due aspetti o conseguenze di questa dimensione umana e sociale del Natale.

 

Vivere incarnati

Il mistero dell’incarnazione di Dio ci chiede, a nostra volta, di incarnarci. Come Dio in Gesù si è incarnato inserendosi in un particolare ambiente e situazione e lì ha vissuto e operato, così anche noi uomini e donne siamo chiamati a essere pienamente inseriti nel posto in cui viviamo e con le persone con cui entriamo in contatto. Siamo anche chiamati ad assumere la piccola porzione di Chiesa che è la nostra parrocchia, senza sognare o andare verso un’altra di migliore; a farci carico cordialmente di questo parroco e, più in generale, di questo vescovo e di questo Papa. Il mistero dell’incarnazione, oltre che elevarci a Dio, ci costringe anche a stare con i piedi per terra e a non evadere dal nostro tempo, dalla storia in cui siamo e viviamo. Come ha fatto Gesù il quale, diversamente dagli Esseni, non si è ritirato a vivere nel deserto per non contaminarsi con il mondo e curare, come si direbbe, solamente la sua interiorità o pensare all’anima. No, Gesù si è incarnato, nel senso che si è “compromesso” con tutto e ha assunto tutto.

 

Umanizzarci e umanizzare

Mi sembra, inoltre, che un altro aspetto importante e coinvolgente del Natale sia che l’umanità di Gesù ci ricorda che noi dobbiamo umanizzarci sempre più; che dobbiamo impegnarci a essere umani e a umanizzare gli ambienti dove viviamo. Non è cosa da poco in una società in cui, a molta generosità e solidarietà, si accompagna anche tanta indifferenza per gli altri, soprattutto per i poveri, e tanto individualismo che mira a realizzare se stessi e a non preoccuparsi della dignità dell’altro il quale, piuttosto, viene visto come un intralcio al proprio benessere umano. Tutto all’opposto di Gesù che, nel corso della sua vita, ha agito e operato per la liberazione, il riscatto e la dignità di ogni persona. Pensiamo all’adultera, alla samaritana, a Zaccheo, ai lebbrosi… Tutte persone che avevano perso molto della loro dignità e umanità ed erano per questo giudicate male dalla gente. Gesù, nel momento in cui le libera dal peccato e dal degrado umano in cui si trovano, le ricostituisce anche nella loro umanità, nel loro essere pienamente uomini e donne.

 

Essere più umani è possibile

Oltre che seguire Cristo uomo perfetto, per la nostra umanizzazione è anche necessario aver cura di quegli elementi fondamentali che caratterizzano il nostro essere “umani”. Prima di tutto riconoscendo che siamo “esseri vivi di carne e ossa” e quindi limitati e “precari”. Senza la “carnalità” o corporeità non può esserci un essere umano perché è grazie a essa che siamo, esistiamo, ci relazioniamo e operiamo nel mondo. Questo ci dice quanto importante sia avere cura, senza per questo idolatrarli, del nostro corpo e della salute. E non dobbiamo nemmeno dimenticare che in quanto esseri umani siamo, per natura, “esseri sociali”, per cui la relazione con gli altri o la relazione di alterità è costitutiva di ogni persona e a essa non ci si può sottrarre, pena il decadimento in forme di isolamento e di regressione umana.  Alla fine, però, penso che l’elemento qualificante rimanga sempre la libertà, a partire dalla quale ognuno gestisce la sua relazione con gli altri e decide l’orientamento o il progetto della propria vita. Senza libertà non c’è vero processo di umanizzazione. Per questo dobbiamo promuoverla e difenderla. Dio ci ha creati e ci vuole liberi perché solo così possiamo essere uomini e donne a “sua immagine e somiglianza”.

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