Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
La Chiesa e il dovere di tutelare i minori
Da parte di tutti noi cattolici è subentrato, in questi giorni, un grande turbamento, misto a sentimenti di stupore, incredulità e irritazione. La domanda che ci assale è sempre la stessa e ci lascia ammutoliti: come può succedere che un prete o un religioso, educatore nei seminari o insegnante o parroco che sia, abbia potuto macchiarsi di simili azioni, approfittando del ruolo pubblico che ricopriva e dell’autorità morale di cui era rivestito?
Si è concluso da poco il vertice, convocato da papa Francesco in Vaticano, sulla pedofilia e sulla tutela dei minori nella Chiesa. Come era prevedibile, la risonanza mediatica è stata grandissima, con pagine intere di giornali dedicate al problema, nelle quali, non senza dovizia di particolari, venivano riportate interviste a persone abusate, da piccole, da religiosi. Da parte di tutti noi cattolici è subentrato, in questi giorni, un grande turbamento, misto a sentimenti di stupore, incredulità e irritazione. La domanda che ci assale è sempre la stessa e ci lascia ammutoliti: come può succedere che un prete o un religioso, educatore nei seminari o insegnante o parroco che sia, abbia potuto macchiarsi di simili azioni, approfittando del ruolo pubblico che ricopriva e dell’autorità morale di cui era rivestito?
La pentola e il coperchio
Del problema si parlava da tempo, essendo state messe sotto accusa chiese intere, come quelle dell’Irlanda, del Cile e, soprattutto, degli Stati Uniti. In quest’ultima, più di qualche diocesi ha dovuto dichiarare fallimento non potendo essere in grado di risarcire le tante vittime di abusi. Bisogna convenire che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Questi, purtroppo, sembra abbiano cercato di metterli, inutilmente, qualche vescovo o superiore religioso, con l’intento di coprire gli abusi commessi da alcuni preti e cercando di rabberciare una qualche soluzione spostandoli da una parrocchia all’altra, da un ufficio ecclesiastico ad un altro o, magari, mandandoli in missione.
Coscienti, però, che il problema non si sarebbe risolto ma, semplicemente, spostato altrove. Fino a un recente passato era questo il modo di procedere, al fine di evitare scandali, suffragato da un contesto culturale ed ecclesiale che riusciva ad “assorbire” simili nefandezze, consentendo di “passarci sopra”. Naturalmente, non potevano passarci sopra e dimenticare tutto, le vittime degli abusi perché la loro vita e la loro innocenza sono rimaste ferite e forse anche rovinate per sempre, con in più il peso di sentirsi oppressi da sensi di colpa per cose commesse da altri. E così, cambiati dopo molti anni cultura e contesto, anche il coperchio è saltato, ed è venuto fuori di tutto.
E’ noto che abusi e violenze sui minori sono per la maggior parte consumati tra le mura domestiche (oltre il 70%), nelle scuole e negli ambienti sportivi e ricreativi, mentre quelli nella Chiesa sono una piccolissima parte. Questo però non sminuisce minimamente la gravità di quanto è avvenuto nelle nostre parrocchie o nei collegi religiosi perché, come ha detto papa Francesco, anche un solo caso di abuso è per noi Chiesa qualcosa di scandaloso e di insopportabile; una mostruosità.
Non fare di ogni erba un fascio
A Benedetto XVI va il merito di aver voluto far luce su un problema che si agitava da tempo, e di aver preso i primi provvedimenti. A Francesco quello, invece, di aver dato delle regole chiare e comminato sanzioni severe (come quella della dismissione dallo stato clericale di qualche vescovo e cardinale), procedendo con determinazione e senza ambiguità. Di sicuro qualche ecclesiastico, ma anche dei fedeli laici, non si ritrovano nella linea di fermezza di Francesco, quella della “tolleranza zero”, propendendo per una certa prudenza e tolleranza. Sappiamo che non può essere così: certi abusi o certe licenze del personale ecclesiastico non possono essere tollerati mai, ancor più in una Chiesa che per secoli ha forgiato la sua morale prevalentemente sul sesto comandamento e ha formato generazioni e generazioni di giovani sul dovere della purezza e del buon uso della sessualità.
Di fronte, però, a determinati fatti, non è lecito, come spesso accade nei media, fare di ogni erba un fascio, istillando il sospetto che nella Chiesa tutti i preti e i religiosi, sul sesso, razzolano male. Non possiamo accettare questa menzogna diabolica, perché la quasi totalità del personale religioso si spende quotidianamente con coerenza e sacrificio per il bene della gente, dei poveri e per il Vangelo. La gente questo lo sa.
Un impegno da parte di tutti
Penso sia necessario che le nostre comunità cristiane ci sostengano e vigilino su noi preti. La nostra vita non è mai “privata” ma pubblica, e per questo dobbiamo sempre cercare di essere trasparenti e cercare l’aiuto e il sostegno dei fedeli. Accettando anche qualche loro osservazione sui nostri comportamenti, qualora suscitino turbamento, se non proprio scandalo tra la gente. Purtroppo, spesso, è più facile che con il parroco ci si scontri e lo si rimproveri per alcune sue scelte pratiche (come ad esempio sulla sagra o sull’uso degli ambienti parrocchiali), e non si abbia il coraggio di avvicinarlo per dirgli, con carità e delicatezza, che certi suoi discorsi o comportamenti sono inappropriati e forse sono oggetto di chiacchiere.
Ma ancor prima è necessario curare bene la formazione dei futuri preti e attuare un discernimento non solo sulla vocazione di un giovane, ma anche sulle sue virtù umane, sulle sue pulsioni e su certe gravi fragilità e inconsistenze. Da parte nostra non ci può che essere rispetto e silenzio di fronte a certe scelte, sempre ponderate e sofferte, che gli educatori nei seminari sentono in coscienza di dover fare nei confronti di qualche giovane, magari tanto generoso e disponibile, che non ritengono però idoneo per il sacerdozio. Un’attenzione che si spera sia presente ovunque.
Alla fine però…
Detto questo, ritengo che come preti dobbiamo comunque impegnarci seriamente nella vita spirituale e nel darci una regola di vita, chiedendo anche al Signore e alla Madonna di metterci una mano sulla testa, affinché possiamo giungere alla fine della vita avendo conservato non solo un po’ di fede, ma anche i buoni costumi. Certe fragilità umane sono, infatti, così radicate in noi e la cultura in cui viviamo è così permissiva e manipolatoria, che anche qualcuno, ritenuto magari più integerrimo di altri, può sempre riservare qualche “sorpresa”.