Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Editoriale: una guerra assurda e strana
Di sicuro, questo conflitto evidenzia la necessità di una maggior unità politica e militare dell’Europa
Dopo quasi quattro mesi dall’inizio dell’esecrabile invasione, da parte della Russia, dell’Ucraina, i commenti e i reportage giornalistici sono ormai passati dalla prima pagina dei quotidiani a quelle interne. Questa guerra fa sempre meno notizia, perché la gente si è ormai assuefatta (diciamolo pure, stancata) e molti, a partire dagli imprenditori e dal mondo economico-finanziario, ne invocano la fine, chiedendo che vengano avviate trattative di pace che, inevitabilmente, si sottintende, saranno a scapito della martoriata Ucraina e della sua integrità territoriale.
Infatti, le pesanti sanzioni economiche comminate da Europa e Usa alla Russia, come era prevedibile, si stanno anche ritorcendo contro i rispettivi Paesi, con il preoccupante fenomeno dell’inflazione, dovuto al forte aumento dei prezzi, soprattutto dell’energia, il rischio della recessione, l’aumento del debito pubblico e il crollo generale dell’economia, con tutto quello che ne consegue: contrazione delle esportazioni, chiusura di fabbriche, disoccupazione e instabilità degli equilibri sociali. Lo stesso presidente americano Joe Biden comincia a preoccuparsene, perché, ormai, a novembre ha le elezioni di “medio termine” e una crisi economica (ha già una inflazione altissima) e sociale non è certo una buona carta elettorale. Alla fine di questa guerra, se e quando finirà, l’Europa uscirà con le ossa rotte e, di fronte a una ulteriore crisi economica, è probabile che si sfarini quel po’ di ricompattamento unitario (tolta l’Ungheria di Orban) che l’invasione russa ha provocato.
Di sicuro, questa guerra evidenzia la necessità di una maggior unità politica e militare dell’Europa (che forse è la vera preoccupazione di Vladimir Putin) perché ora ci si trova di fronte a un vicino di casa, Putin appunto, che ha rotto avventatamente e arbitrariamente l’ordine e il diritto internazionale, invadendo uno Stato sovrano, togliendogli il diritto alla pace e all’autodeterminazione, come ha fatto notare in settimana papa Francesco.
Motivazioni “strane”
Abbiamo più volte scritto che questa guerra di invasione di un Paese sovrano è assurda e strana. Assurda, perché viola l’integrità di un altro Paese, volendo sottometterlo, riducendolo a uno Stato vassallo, un po’ come sta avvenendo con la Bielorussia. La motivazione, addotta da Putin, di voler difendere i diritti della minoranza russofona che abita nelle due province autoproclamatesi autonome della regione del Donbass e che da una decina d’anni sarebbero oggetto di rappresaglie e ingiustizie da parte del Governo centrale, tiene fino a un certo punto. Per lo meno non giustifica una guerra che è partita con l’intenzione di occupare velocemente la capitale Kiev, eliminare Zelenski e operare un cambio di regime.
Putin ha trovato pane per i suoi denti e ora il suo esercito è concentrato sul primario e vero obiettivo, ossia quello di “liberare” il Donbass e annetterselo come ha fatto con la Crimea nel 2014.
Nemmeno regge del tutto la motivazione che l’espansione della Nato verso est, qualora arrivasse a inglobare anche tutte le ex Repubbliche “occidentali” dell’ex Unione sovietica (Ucraina, Moldavia, Georgia, mentre Estonia, Lettonia e Lituania lo sono già), porterebbe l’esercito “nemico” (cioè americano) a piazzarsi al confine occidentale della Russia, senza che questa possa avere come zona di sicurezza alcun “Paese cuscinetto”. Una motivazione, questa, seppur comprensibile, un po’ strana perché, comunque si piazzino gli eserciti stranieri ai confini della Russia, essa può disporre di un arsenale atomico di oltre 7.000 testate, che farebbe da deterrente a ogni tentativo di invasione. Per la Russia il problema cruciale sembra essere invece il mare Baltico. Se Finlandia e Svezia entrassero nella Nato, essa si troverebbe circondata e senza che la propria flotta di stanza a san Pietroburgo e a Kaliningrad disponga di sbocchi liberi e “sicuri” di fronte a un eventuale blocco navale da parte dei Paesi atlantici.
Il timore per l’Europa
Forse, la preoccupazione di Putin non è principalmente di impedire l’allargamento dell’influenza degli Stati Uniti verso i Paesi dell’ex Patto di Varsavia (molti ormai fanno già parte della Nato). Sappiamo bene come spesso cambino le politiche verso l’Europa delle Amministrazioni americane che si succedono. E poi, è noto che i veri problemi, per gli Usa, sono la Cina e il controllo degli oceani Indiano e Pacifico.
Sembra, piuttosto, che la sua vera preoccupazione sia una possibile (e per noi auspicabile), unità politica, culturale, economica e militare dell’Europa occidentale e la sua “contagiosa” democrazia. Non a caso e da anni, per indebolirla, “foraggia” e sostiene varie spinte nazionalistiche e populiste in alcuni capi di Stato (pensiamo a quelli del gruppo di Visegrad). Ma anche stigmatizzando, con il supporto della Chiesa ortodossa russa, le nostre democrazie e le libertà civili conquistate, non mancando di evidenziare un certo incalzante degrado etico (come ha fatto di recente il patriarca Kirill) che porterebbe al declino della nostra civiltà occidentale.
La ricostituzione dell’impero
Questo mi porta a fare un’ultima considerazione. Putin e la “nomenklatura” russa non hanno mai assorbito il trauma della dissoluzione, nel 1991, dell’Unione sovietica e delle 15 Repubbliche che la costituivano.
Nella Federazione Russa è rimasto sempre vivo e pressante l’obiettivo di ricostituire (almeno a ovest) il vecchio impero o “mondo russo” unito dalla stessa lingua, le tradizioni e l’ortodossia.
Putin finora non aveva mai osato paragonarsi direttamente allo zar Pietro il Grande, fondatore della Russia moderna (1672-1725). Di recente, però, ha dichiarato che “a noi è toccato in sorte fare quello che faceva Pietro”, cioè “riportare indietro le terre russe e consolidarle”. Forse è vero quanto riferiscono che egli avrebbe detto: “Se non ora, quando?”.