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Editoriale: un discernimento necessario

Nel mese di giugno, su sollecitazione del vescovo Michele, si è avviato tra i preti dei vicariati e delle Collaborazioni pastorali un confronto e una condivisione su quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questo tempo particolare segnato dalla pandemia. Quanto verrà raccolto da questo “racconto” comunitario confluirà nel consiglio presbiterale che si terrà il 27 luglio prossimo.

02/07/2020

Nel mese di giugno, su sollecitazione del vescovo Michele, si è avviato tra i preti dei vicariati e delle Collaborazioni pastorali un confronto e una condivisione su quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questo tempo particolare segnato dalla pandemia. Anche altri organismi di partecipazione, con nutrita presenza laicale, sono stati oggetto di consultazioni nelle scorse settimane. Già nella sua lettera per l’estate rivolta ai fedeli della diocesi, il Vescovo scriveva che “l’unico modo per non dimenticare è raccontare. Parlarci e raccontare”.

Quanto verrà raccolto da questo “racconto” comunitario confluirà nel consiglio presbiterale che si terrà il 27 luglio prossimo. Due sono gli ambiti sui quali ogni prete è chiamato a riflettere e confrontarsi: sulla vita delle comunità cristiane e su quali cose lo hanno interpellato nella sua identità.

Come Chiesa che deve incarnarsi nel tempo e nella storia, dentro agli eventi che toccano e condizionano a volte in modo drammatico la vita delle persone, è quanto mai necessario chiederci che cosa lo Spirito del Signore voglia dirci e se ci siano delle indicazioni per il nostro immediato futuro perché, per fede ed esperienza, noi crediamo che “Dio parla ancora”; sa parlarci anche attraverso gli eventi tristi e drammatici, affinché possiamo convertirci.

Questa lettura, comprensione e interpretazione, la dovrebbe fare ognuno di noi, ma diventa necessario e inderogabile che tutta la Chiesa compia questa operazione attraverso il discernimento comunitario, quella lettura sapiente dei fatti della storia alla luce della parola di Dio per cogliere quanto lo Spirito va illuminando e suggerendo a ognuno di noi.

 

Ripensare la pastorale

Nel mio editoriale del 20 maggio scorso scrivevo che un fattore esterno, imprevisto e devastante quale è stato la pandemia, è bastato per semplificare o azzerare anche quella pastorale sulla quale da anni andiamo riflettendo e invocando, non senza provare un senso di impotenza, semplificazione, ritorno alle cose essenziali, meno dispendio di tempi, energie e risorse. E che il rischio era che, passata la tempesta, si ripartisse come prima e più di prima, preoccupati di recuperare il terreno e il tempo perduti e senza fare un opportuno discernimento.

La traccia inviata ai preti pone al riguardo una domanda specifica e, a mio avviso, molto impegnativa: “Quale volto di comunità e di pastorale sta emergendo? Che cosa invoca un ripensamento o un cambiamento?”. Evidentemente non si tratta solamente di suggerire che cosa semplificare o tagliate e cosa invece promuovere. Sarebbe un’operazione limitata e a corto respiro, seppur importante. In gioco, infatti, c’è la comprensione di un nuovo volto di Chiesa, di un modo nuovo di pensarci, di essere e agire come Chiesa in questo tempo. Non so se questo desiderio o auspicio declinerà in scelte importanti e, almeno in parte, innovative. C’è solo da pregare che lo Spirito ci aiuti a osare un po’ di più e che, all’impegno a essere una Chiesa sinodale, si accompagni anche quello di essere, come il missionario del Vangelo, una Chiesa “snella”, sobria ed essenziale, capace di incarnarsi e spendersi senza riserve per l’umanizzazione della nostra società e per la salvezza di quanti accolgono liberamente il lieto annuncio del vangelo. Avendo l’attenzione a non cadere in un nuovo attivismo perché la compulsione per le formule e le organizzazioni pastorali è il più delle volte indice della eccessiva fiducia che riponiamo in noi stessi e nelle strategie piuttosto che nello Spirito.

In ogni caso, facciamo nostre le parole del Vescovo nella citata lettera ai fedeli: “Non possiamo ripartire da vecchi schemi, bensì da nuove solidarietà, non da visioni dell’interesse personale che hanno fatto il loro tempo, ma dalla comune responsabilità verso questo mondo meraviglioso e fragile”.

 

Ripensarci come preti

E’ evidente che non si può parlare di rinnovamento delle nostre comunità senza un ripensamento della figura e della missione del pastore. Per questo la scheda di lavoro che abbiamo ricevuto ci chiede anche di confrontarci su quali scoperte e intuizioni abbiamo maturato in questi mesi riguardo il ministero; se ci sono delle priorità per la nostra vita di preti e di pastori e se abbiamo colto degli interrogativi rivolti a noi individualmente e come presbiterio. Penso, comunque, che un rinnovamento della nostra vita sacerdotale dovrebbe sempre passare attraverso una fedeltà incondizionata alla missione affidataci, unita a una costante purificazione dei desideri, delle ambizioni e di ogni tentazione di autonomia, auto sufficienza e isolamento; a dare sempre e comunque la precedenza alla nostra dedicazione alla Chiesa e alle persone. Ognuno di noi è chiamato a lavorare e a essere prete nel tratto di storia che gli è dato, con gioia e determinazione, avendo a cuore non il proprio successo o la preoccupazione di lasciare un segno nella gente, ma di servire in piena gratuità il Regno, facendosi prossimo, anche con gli stili di vita, agli ultimi della nostra società.

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