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Editoriale: La scuola delle tende e del merito

In Italia, Paese ancora dotato di discrete politiche sociali, l’università dovrebbe essere sostanzialmente gratuita, in modo che tutti possano accedervi e costruirsi il futuro che desiderano, a prescindere dalle condizioni economiche di partenza

25/05/2023

Da qualche settimana in molte università gli studenti hanno montato delle tende, per protestare contro il caro affitti. Il problema è molto serio, perché molti di loro, che abitano lontani dalle facoltà, si trovano costretti a prendere in affitto una camera anche per 700 euro al mese.
Una spesa insostenibile, per chi non può beneficiare dell’aiuto da parte della famiglia. Per questo, molti cercano di sopperirvi con qualche lavoretto extra che, però, porta via energie e tempo allo studio, rallentando così il ritmo degli esami da sostenere. Bisogna, però, aggiungere che ci sono anche altri studenti che, per la loro tenacia e indubbia capacità, evitano il più possibile distrazioni e svaghi pur di accaparrarsi una borsa di studio.
E’ pur vero che negli Stati Uniti, dove l’università non è gratuita, molti studenti sono costretti a chiedere prestiti cospicui alle banche, soldi che si impegnano a restituire, anche nell’arco di molti anni, allorquando entreranno nel mondo del lavoro. Ma gli Usa, Paese ancora segnato da un liberismo di mercato spinto, deregolamentato e senza un vero welfare, brillano per tante ingiustizie e il divario sociale, tanto che nemmeno la cura della salute è un bene garantito a tutti.

In Italia, Paese ancora dotato di discrete politiche sociali, l’università dovrebbe essere sostanzialmente gratuita, in modo che tutti possano accedervi e costruirsi il futuro che desiderano, a prescindere dalle condizioni economiche di partenza. Purtroppo nelle università non ci sono strutture sufficienti, in grado di ospitare quegli studenti fuori sede che sono almeno in regola con il corso di laurea e, di conseguenza, di calmierare le esose tariffe che molti devono pagare per un posto letto.
Ora il Governo si è impegnato a sbloccare 660 milioni, per venire incontro al problema degli alloggi universitari e del caro affitti. Resta, però, il fatto che questo è uno dei motivi per cui un buon numero di studenti abbandona l’università, seppellendo così aspirazioni e progetti per il futuro.

La scuola degli abbandoni
Quello degli abbandoni e della dispersione scolastica è un problema che investe tutta la scuola italiana nella quale, peraltro, si investe sempre meno. I dati più recenti dicono che da noi circa il 13% dei giovani dai 18 ai 24 anni lascia la scuola, fermandosi alla licenza media. Purtroppo, questo ci colloca in Europa al terzo posto per la percentuale di abbandoni. I motivi sono, in genere, di tipo socio-economico: povertà della famiglia o del territorio, differenze culturali o di genere o di nazionalità, incertezza per un lavoro, poca efficacia dell’istruzione ricevuta nella scuola primaria e nelle medie, fragilità dei soggetti, ecc.
E’ un problema che ci trasciniamo da sempre e che riguarda anche la scuola d’obbligo. Già nel 1968, don Lorenzo Milani (del quale celebriamo i 100 anni dalla nascita, vedi l’intervista a pagina 12 con l’allievo Francesco Gesualdi), nella provocante “Lettera a una professoressa” scriveva in modo lapidario che “la scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde ogni anno”.
Certamente da allora le cose sono molto cambiate, ma il problema degli abbandoni o della scarsa formazione scolastica di quei ragazzi che fanno parte di famiglie meno abbienti, permane e nessuno se ne fa carico.

La scuola del merito
In Italia, con una certa frequenza, viene cambiata la denominazione del ministero che sovrintende alla scuola, ma i problemi sono rimasti sempre gli stessi. Ora, il nuovo Governo di centrodestra ha trasformato il Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) nel Mim “Ministero dell’istruzione e del merito”, al fine di sottolineare fin dal nome come sia giusto che la scuola premi il merito e le capacità. Non ci è chiaro, però, il motivo di tale scelta, a chi e a che cosa si riferisca. Non pensiamo che riguardi gli insegnanti ed eventuali incentivi salariali per coloro che sono più “bravi” e disponibili: sappiamo quanto sia improbo, per un dirigente scolastico, avventurarsi nello stilare giudizi e graduatorie di merito. Diversamente dalle aziende private, dove le capacità di un dipendente vengono riconosciute e possono aprire possibilità di carriera, nella scuola statale ai posti di rilievo si accede solo per concorso, mentre per il resto vige un rigoroso appiattimento.

Privilegi e vulnerabilità
Quel “merito” si riferisce, invece, agli studenti anche se, quelli bravi che per doti e capacità personali o perché provengono da ambienti sociali e culturali stimolanti, si acquistano già sul campo il riconoscimento, con votazioni alte e conseguenti maggiori possibilità di successo e di prospettive professionali. Si sa che verso questi alunni “privilegiati” gli insegnanti, giustamente, sono sempre ben disposti e propensi a riconoscere i loro meriti.
Per questo, avremmo preferito che questo “nuovo” Ministero fosse preposto soprattutto a stimolare e sostenere le capacità e le potenzialità di quei ragazzi e giovani che, per motivi personali, sociali, familiari e culturali, portano in loro una certa “vulnerabilità”, per cui fanno fatica ad affrontare la scuola e a raggiungere determinati obiettivi e risultati. Riteniamo, infatti, che la scuola, oltre a incentivare i migliori, dovrebbe anche farsi carico delle differenze individuali portando tutti, anche quelli delle periferie sociali ed esistenziali, a sviluppare le loro capacità e offrire loro una reale possibilità di riscatto sociale e culturale. Altrimenti, siamo costretti a rassegnarci al fatto che “piove sempre sul bagnato” e che “a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza e a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha”. Ma una scuola che sottostà a questa logica, invece di promuovere le persone, contribuisce a generare gli “scarti” sociali i quali, in qualche modo, risultano funzionali al sistema.

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