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Editoriale: La pace "dimenticata"

Nell'Angelus papa Francesco ha invitato a pregare per alcuni popoli tormentati dalla guerra e dimenticati. In particolare ha chiesto la cessazione del conflitto in Siria e nello Yemen e ha espresso vicinanza ai giovani del Myanmar

08/04/2021

Papa Francesco, nell’Angelus del giorno di Pasqua, è ritornato a ricordare e a invitare a pregare per alcuni popoli tormentati dalla guerra e dimenticati o, volutamente, ignorati da tutti.

In particolare ha chiesto che cessi il fragore delle armi “nell’amata e martoriata Siria, dove milioni di persone vivono in condizioni disumane” e nello Yemen, “le cui vicende sono circondate da un silenzio assordante e scandaloso”. Ha pure espresso vicinanza ai giovani del Myanmar, che da qualche mese sono impegnati pacificamente per riavere la democrazia e, per questo, sono oggetto della repressione violenta dei generali che si sono impossessati del potere.

Quella dello Yemen è una guerra civile tra la fazione musulmana sciita Houthi, appoggiata, secondo le accuse, dall’Iran, e quella sunnita foraggiata dall’Arabia Saudita e dagli altri Paesi arabi e sostenuta dalla comunità internazionale. Una guerra che ha fatto circa 20.000 vittime e costretto oltre 4 milioni di famiglie, tra cui 2 milioni di bambini, a lasciare le loro case, e ha fatto precipitare il Paese, già considerato il più povero della Penisola arabica, in una drammatica emergenza umanitaria, a causa della carenza di cibo, acqua, servizi igienici e assistenza sanitaria, nonché dalla diffusione di epidemie.

Quella siriana è un’altra assurda guerra civile, iniziata nel 2011 con la “Primavera araba”, che ruota attorno al controverso ventennale strapotere del presidente Bashar al-Assad, la cui famiglia governa in modo dispotico il Paese da mezzo secolo.

In dieci anni la guerra è costata circa 400.000 morti, di cui oltre 100 mila civili e 20 mila bambini, e in più un esodo di proporzione bibliche con circa 12 milioni di sfollati. Secondo le stime dell’Onu, il 90% della popolazione versa in condizioni di estrema povertà.

Le intromissioni straniere

Come da copione, sulla martoriata Siria si sono concentrati gli interventi militari di una miriade di Paesi e potenze straniere, sia occidentali che orientali, di vari gruppi estremistici e terroristici, e delle due solite contrapposte fazioni religiose e politiche, quella sciita e quella sunnita, che da anni stanno destabilizzando tutto il Medio Oriente. La Siria è l’esempio più drammatico della corsa delle piccole e grandi potenze per avere il controllo dello scacchiere mediorientale, con giochi di alleanze a “geometria variabile”, forniture militari, appoggio a una fazione piuttosto che all’altra, ecc. Districarsi in questo dedalo di interessi e di guerre, a volte sovrapposti e paralleli, che spesso “attraversano” la Siria in vista di altri obiettivi, è quasi impossibile.

In questi conflitti, come in tutti quelli che agitano il pianeta, i problemi interni di un Paese fanno sempre da detonatore che mette in moto gli interessi politici ed economici delle grandi potenze o dei Paesi confinanti.

Gli interessi, al di là delle parole

Le parole di pace e di condanna della guerra che tali potenze spesso pronunciano nei consessi internazionali (pensiamo all’Onu), sono spesso mistificatorie. Per loro, come ai tempi del colonialismo, il problema è sempre lo stesso: controllare il mondo, soprattutto i “cattivi”, o presunti tali, che possono destabilizzarlo e, soprattutto, mettere le mani sulle risorse naturali, come il petrolio in Medio Oriente o certi minerali preziosi in Africa e America latina (come il litio, elemento base per le batterie di cellulari e auto elettriche) e, ormai, anche le riserve idriche. Certamente dipende molto da come questa “vigilanza” viene attuata. Quando, però, si invade un Paese o una parte di esso e si armano le fazioni ritenute “alleate”, si innesca una reazione a catena che destabilizza tutto l’insieme.

Quello che da vent’anni a questa parte è successo in Medio Oriente e in Nordafrica è, forse, l’esempio più emblematico. L’intervento delle potenze occidentali (e quelli in alcuni casi, più di recente, di Russia e Turchia), in Afghanistan per contrastate i Talebani, in Iraq contro il dittatore Hussein e in Libia per eliminare Gheddafi, ha provocato una situazione incandescente e incontrollabile, scatenando gli appetiti di altri Paesi vicini, di gruppi e fazioni religiose e terroristiche e dando vita, un po’ ovunque, a guerre fratricide. Controllare le rotte del petrolio, eliminare gli “Stati canaglia” e le centrali terroristiche come l’Isis, sono stati i principali motivi che hanno spinto le potenze straniere a intervenire. C’è anche sempre stata la volontà (o la scusa) dell’Occidente di “imporre” o di esportare nei Paesi musulmani o di cultura araba, il nostro tipo di democrazia, cosa che si sta spesso rivelando inconciliabile con la visione religiosa e politica dell’Islam.

Sta di fatto che, in questo sconvolgimento generale, dovuto alla rottura dei precedenti equilibri imposti dai vari governanti locali, quelli che ne stanno facendo maggiormente le spese sono i cristiani, oggetto di violenza da parte delle incontrollabili fazioni in lotta e degli integralisti islamici e costretti spesso a emigrare. Tolte le continue parole del Papa, quasi nessuno leva la voce in loro difesa. Di sicuro, la pace e la giustizia in Medio Oriente, sono ancora di là da venire.

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