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Editoriale: L'attualità di don Lorenzo Milani

Don Lorenzo è stato una figura profetica e, perciò, assai controversa. Ha sempre portato il peso e le conseguenze di quello che diceva e scriveva

31/05/2023

Sabato scorso, 27 maggio, si è celebrato a Barbiana il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, a cui seguiranno, nei prossimi mesi, alcuni appuntamenti nazionali sui temi al centro della sua pastorale: la Chiesa, il lavoro, la Costituzione, la scuola. Oltre al presidente della Cei, card. Matteo Zuppi e a tanti suoi estimatori ed ex alunni, ha certamente brillato, come sempre, per la sua presenza e per le sue parole, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Don Lorenzo è stato una figura profetica e, perciò, assai controversa, ma di grande attualità per il nostro tempo. Ha sempre portato il peso e le conseguenze di quello che diceva e scriveva, tanto che nel 1967 è morto da indagato, in quanto era in corso il processo per aver difeso l’obiezione di coscienza che in quegli anni era ritenuta ancora un reato, tanto che, per questo, diversi giovani finivano nel carcere di Gaeta.

Un pensiero “rivoluzionario”
Come tanti altri, appartengo a quella generazione che è cresciuta influenzata dagli insegnamenti del priore di Barbiana. Quando egli morì, avevo 18 anni ed ero dentro l’effervescente processo di rinnovamento post conciliare che stava vivendo l’Azione cattolica italiana (sfociato nel 1969 nel nuovo Statuto e nella “scelta religiosa”). Le parole di don Milani hanno sempre suscitato in me interesse, stimolando il mio pensiero e anche il mio impegno laicale, soprattutto a partire dal libretto “L’obbedienza non è più una virtù” del 1965. Sbirciando nella biblioteca del mio vecchio parroco, riuscii a trovare anche il primo libro di don Milani: “Esperienze pastorali” del 1957, il quale suscitò tante polemiche. Nonostante l’imprimatur del suo vescovo, il card. Elia Dalla Costa, il Sant’Uffizio lo fece ritirare, ritenendo la sua lettura inopportuna. In seguito, lessi anche la provocante “Lettera a una professoressa”, uscita proprio nel 1967 anno della morte e, successivamente, la raccolta: “Lettere di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana” del 1972. Tutti libri che per le idee che veicolavano incrociarono e, in qualche modo, anticiparono la feconda stagione politico-culturale del ’68, nella quale la mia generazione è cresciuta e dalla quale, in parte, è stata condizionata.

Una scuola che non discrimini
Come ebbe a dire Mattarella, don Milani pensava la scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale, come primo motore delle sue idee di giustizia e uguaglianza. Per il priore la scuola doveva essere come la leva per contrastare le povertà, soprattutto la “povertà educativa”. Doveva, soprattutto, insegnare la lingua, per poter usare la parola. Perché, secondo don Milani, la società non è divisa anzitutto tra ragazzi più intelligenti e meno intelligenti, tra ragazzi ricchi e meno ricchi, ma tra coloro che possiedono mille parole e quelli che ne hanno soltanto cento. Da qui, nascono e si perpetuano le discriminazioni. In modo lapidario affermava che “una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”.

Il potere della parola
I ragazzi di don Lorenzo non possedevano le parole. Per questo venivano esclusi. E se non le avessero conquistate, sarebbero rimasti esclusi per sempre. Guadagnare le parole voleva dire incamminarsi su una strada di liberazione, ma anche crescere nella propria coscienza di cittadini.
Don Milani non aveva dubbi: è la lingua che fa uguali. Come disse papa Francesco nel 2017, nel suo pellegrinaggio a Barbiana: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole”. Tanto è vero che, in una lettera inviata nel 1956 a un giornale, il priore scriveva: “Ciò che manca ai miei ragazzi è solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza… sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude… Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata… chiamo uomo chi è padrone della sua lingua”. Per don Milani, i poveri sono vittime di un deficit linguistico che li priva della possibilità di partecipare in modo attivo e costruttivo alla vita sociale e politica della comunità, perché “chi non ha parola non ha potere”.
Comprendiamo, allora, come la nostra scuola italiana, soprattutto quella dell’obbligo, abbia una grande responsabilità nei confronti della vita e del futuro dei ragazzi che le sono affidati. Abbiamo sempre bisogno di realizzare una scuola che includa tutti (non solo i meritevoli) e non scarti nessuno, che non faccia “parti uguali tra diseguali”.

“Mi interesso”
Don Lorenzo Milani aveva un senso fortissimo della politica. Come ha detto Mattarella, se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era il suo vangelo laico. Per questo sono quanto mai vere le sue parole: “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
“I Care” è l’attualissimo messaggio, che stava affisso su una parete della scuola di Barbiana. Come diceva don Milani, è il motto della migliore gioventù americana, che significa “Mi sta a cuore”, il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza e che è l’esatto contrario del motto fascista “Me ne frego”.
Purtroppo, anche oggi, accanto a tanti giovani che “si interessano” degli altri, soprattutto dei più poveri e disagiati, ci sono tanti altri che non si interessano di niente, se non della propria carriera e del proprio benessere, arrivando addirittura a trattare con sufficienza e, forse, anche con disprezzo i poveri e gli “scarti” della società. Per noi, discepoli di Gesù, non può mai essere così.

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