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Editoriale: "Fin che la barca va"...

Il nuovo governo giallo-rosso ha ormai ottenuto il suo via libera dal Parlamento e ora è nelle sue piene funzioni. Ci sono, però, alcuni aspetti problematici che vorremmo evidenziare di questa che alcuni commentatori definiscono una “fusione a freddo” tra due partiti da sempre antagonisti.

12/09/2019

Il Governo, pur tra le manifestazioni di piazza di Lega e Fdi e la indecorosa caciara in Aula contro i “poltronari” e i “traditori”, ha avuto il via libera dal Parlamento e ora è nelle sue piene funzioni. Ci sono, però, alcuni aspetti problematici che vorremmo evidenziare di questa che alcuni commentatori definiscono una “fusione a freddo” tra due partiti da sempre antagonisti.

Sappiamo che né il capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio né il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti intendevano fare questa alleanza. Il primo, in realtà, non voleva andare al voto perché, stando ai sondaggi, avrebbe visto uscire dalle urne un Movimento decimato. Ma sembrava attratto (a meno che non fosse un bluff) dall’irresistibile sirena Salvini il quale, pur di rimediare all’ingenuità di aver fatto saltare il Governo e facendo leva sulle smisurate ambizioni di Di Maio, era disposto a concedergli la Presidenza del Consiglio. Di Maio ha dovuto però cedere, obtorto collo, all’ordine perentorio di Beppe Grillo, fondatore e garante del Movimento, e fare così buon viso a cattivo gioco, uscendone alla fine molto ridimensionato, pur avendo ottenuto il Ministero degli Esteri.

Bisogna dire che, al di là dei discorsi sul senso di responsabilità verso la difficile situazione economica e politica del Paese, ciò che ha spinto la formazione di questo Governo giallorosso è stato lo spauracchio delle elezioni anticipate e, vero collante, il voler impedire a Salvini di fare cappotto, portandosi a casa la maggioranza assoluta dei parlamentari e così avere “pieni poteri”.

Un’alleanza, però, non si regge a lungo se nasce “contro” qualcuno o qualcosa. Sarebbe solo un “escamotage” per rinviare a breve termine il problema elezioni-Salvini, e rendere il leader leghista ancora più forte e baldanzoso. Per stare insieme c’è bisogno, infatti, di un progetto politico; capacità di negoziazione; sofferti compromessi e, soprattutto, il non pretendere da parte di entrambi gli alleati di portare a casa integre tutte le proprie bandierine, perché questa sarebbe ancora la logica fallimentare del “contratto”.

Le rinunce di Zingaretti

Zingaretti di inciuci con i 5S non ne voleva proprio sapere. Desiderava solo andare al voto, in modo da sistemare le faccende interne al partito e riprendersi in mano i gruppi parlamentari che attualmente dipendono da Matteo Renzi, il quale continua a rappresentare nel Pd un elemento di instabilità.

L’ex segretario, infatti, con un vero colpo di teatro, ha sponsorizzato quell’alleanza con il M5S alla quale, solo un anno prima, si era opposto categoricamente, impedendo qualunque trattativa all’allora segretario Maurizio Martina.

Zingaretti, trovandosi con un partito quasi tutto contrario al voto e favorevole all’alleanza, ha dovuto ingoiare il rospo propinatogli da Renzi e impegnarsi a gestire nel miglior modo possibile la trattativa con lo scalpitante e rabbuiato Di Maio, cercando di salvare la faccia, chiedendo una chiara “discontinuità” sui nomi e su certi provvedimenti del governo gialloverde. Anche qui ha dovuto ridimensionare le aspettative e arretrare.

Riteniamo, però, che tale discontinuità non possa essere intesa, come fa una certa sinistra, puro smantellamento di alcuni provvedimenti presi dal Governo precedente. Soprattutto sul versante immigrazione e sicurezza, che sono poi state, a nostro avviso, le cose più problematiche e dirompenti, perché l’estrema rigorosità voluta dal Governo era passata sopra a ogni forma di umanità. Bisogna, tuttavia, essere coscienti che qualunque politica di accoglienza indiscriminata, senza criteri o limitazioni, porterebbe solo acqua al mulino di Salvini, perché egli si troverebbe, a torto o a ragione, con buona parte del Paese dalla sua parte. Per questo, sarà necessario che il Governo gestisca con intelligenza e umanità i flussi migratori e sia risoluto nel chiedere all’Unione europea la revisione del trattato di Dublino sulla “ripartizione” degli immigrati, ma anche sull’allentamento del rigorismo imposto da Maastricht al patto di stabilità. Non disdegnando di approfittare del fatto che la nuova presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, eletta grazie ai voti che le sono stati portati in soccorso proprio da Conte, dovrà pure sdebitarsi un po’ con il nostro Paese.

L’evoluzione del premier Conte e del Movimento 5 Stelle

Di Maio e il premier Conte non possono, a loro volta, rivendicare continuità con quanto hanno fatto in questi ultimi quattordici mesi di governo con la Lega. Un po’ di autocritica non guasterebbe: anche per loro dovrebbe valere il principio della discontinuità. Sul “nuovo” Conte, imposto a Zingaretti da Grillo, si potrebbe anche rischiare di scommettere: è intelligente, con grande capacità di mediazione, trasformista e ambizioso quanto basta, ben piazzato presso le cancellerie europee e, cosa non da poco, leader in pectore di un M5S che necessariamente, se vuole rimanere nel Palazzo, deve evolvere, pur con qualche trauma e tanti mal di pancia, da movimento a partito strutturato, riconoscendo con onestà di fare già parte da tempo del tanto contestato “establishment” e di aver imparato molto presto a destreggiarsi nei giochi di palazzo.

Il pasticcio di Salvini

Per ora, Salvini rimane alla finestra a contemplare il pasticcio che ha combinato a causa della sua “hybris” politica (della quale rimasero a suo tempo vittime anche Berlusconi e Renzi e oggi il premier inglese Boris Johnson), termine questo che ricorre nella tragedia greca per indicare quella tracotanza, insolenza, sopravalutazione delle proprie forze e prevaricazione su tutti e sugli dei, che porta l’uomo a rimanere prima o poi vittima di se stesso, come successe al mitico Prometeo.

Certamente sfodererà un grande attivismo, cercando di cavalcare con Giorgia Meloni la protesta nelle piazze e mettendosi di traverso al Senato dove la nuova maggioranza ha i numeri un po’ ballerini e la “compravendita” di qualche scontento è sempre possibile. Ora che, però, l’Esecutivo ha ottenuto la fiducia ci permettiamo di suggerirgli di mettere in soffitta la retorica, ormai un disco rotto, sul Governo il cui collante, secondo lui, sarebbe solo la spartizione delle poltrone e il sostegno sperticato di Bruxelles.

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