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Editoriale: don Diego, tra scuola e catechesi

Oltre al servizio nelle parrocchie e in diocesi, con i giovani il suo grande campo di impegno

14/07/2022

Sabato scorso 9 luglio eravamo in molti a partecipare al funerale di don Diego Semenzin. Molti suoi ex alunni e colleghi del liceo scientifico Da Vinci, in cui ha insegnato religione per tantissimi anni, catechisti e, soprattutto, insegnanti di religione.
Ho avuto la grazia di lavorare con lui per circa 16 anni nell’Ufficio catechistico diocesano (Ucd), sia per la catechesi che per l’insegnamento della religione cattolica (Irc), sperimentando la passione e l’amore con cui seguiva la scuola e la grande disponibilità al dialogo con ogni persona che lo avvicinava.

A partire dal Concordato del 1985 e dalla successiva Intesa sull’Irc del 1986 tra la Cei e il ministro della Pubblica istruzione Franca Falcucci, abbiamo dovuto faticare molto per far capire alla gente e anche a noi preti, la differenza (ma anche la complementarietà) che c’era tra il catechismo parrocchiale e l’insegnamento della religione nella scuola.
Da questo punto di vista, don Diego si spendeva molto nel difendere la specificità dell’insegnamento impartito dai “suoi” insegnanti di fronte alle ricorrenti contestazioni o richieste di tipo “integralista” avanzate da certi gruppi o movimenti o da qualche corrente ideologica, affinché i docenti insegnassero con chiarezza le verità e la morale cristiane e si ponessero come difensori dei simboli della tradizione, senza perdere tempo con altri discorsi di tipo culturale, antropologico o interreligioso.

Era, però, altrettanto pronto a richiamarli se non svolgevano con serietà e professionalità il loro lavoro e “debordavano” dalle vere finalità dell’Irc.

Tra promozione umana ed evangelizzazione
Don Diego, oltre al servizio pastorale svolto in diverse parrocchie e, per alcuni anni, come vice rettore in seminario, ha speso la sua vita nella scuola, sia come insegnante che, successivamente, come responsabile dell’Irc, profondamente convinto, come diceva Benedetto XVI, che “la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita”. Era pure convinto del valore e della fecondità dell’insegnamento della religione perché esso, come scrivevano nel 2010 i nostri vescovi “permette agli alunni di affrontare le questioni inerenti il senso della vita e il valore della persona alla luce della Bibbia e della tradizione cristiana” (“Educare alla vita buona del vangelo”, 47).
Da questo punto di vista, bisogna ribadire che la scuola si presenta come un vasto campo ricco di possibilità in ordine alla promozione umana dei giovani e anche di primo annuncio e di evangelizzazione. Lì i ragazzi e i giovani (che scelgono di avvalersi dell’Irc) non si devono cercare, né servono grandi progetti e iniziative pastorali per attirarne qualcuno, come ormai capita spesso nelle parrocchie, ma li si trovano tra i banchi di scuola, tutto sommato disponibili al confronto e al dialogo sui valori che danno senso e fondamento alla persona e alla società, compreso quello dell’importanza della dimensione religiosa della vita. A patto di essere disponibili ad ascoltarli, come il recente “ascolto sinodale”, promosso anche da tanti insegnanti di religione, ha messo in luce.
Certamente, insegnare religione nella scuola, soprattutto alle superiori, è molto impegnativo e, tante volte, può essere poco gratificante. Lo è anche il dover promuovere ogni anno l’adesione a tale insegnamento.

Una missione da vivere ogni giorno
Un insegnante sa bene che deve conquistarsi la “piazza” e l’assenso degli studenti giorno per giorno. Bisogna, però, come laici e anche come preti (quei pochi che ancora insegnano), viverla come una missione e amare gli studenti che ci vengono affidati.
Don Diego a questa “missione” credeva molto. Anzi, come scrive nel suo testamento spirituale, per lui la scuola è stata il luogo e l’esperienza che ha amato e dove ha ricevuto tanto amore.
E i frutti di questo amore si sono resi visibili, appunto, nell’ampia partecipazione (in presenza e online) al suo funerale e nelle numerosissime testimonianze e attestati di stima e di affetto giunti da parte di tante persone.

Il rinnovamento della catechesi
Prima che alla scuola, don Diego, però, ha dedicato tempo e intelligenza al rinnovamento della catechesi della nostra diocesi, soprattutto a partire dagli anni ’70, allorquando uscirono in fase sperimentale i nuovi catechismi “per la vita cristiana” della Cei (l’allora direttore dell’Ucd - di cui don Diego era vice - don Orfeo Gasparini, ripeteva che erano testi “ad experimentum e non ad libitum”).
Io, da neo vicedirettore, ho iniziato a collaborare con lui a partire dal 1986 quando, appunto, entrò in vigore il nuovo assetto dell’Irc e, dopo la fase di sperimentazione, stava iniziando la pubblicazione, quella definitiva, dei catechismi. E’ stata per me e don Diego, e per i laici che abbiamo coinvolto attorno all’Ufficio catechistico diocesano, una stagione entusiasmante, ricca di iniziative vicariali e diocesane, di sperimentazioni “sul campo” della bontà dei nuovi catechismi, di sussidi e di incontri per catechisti a ogni livello.
Don Diego, nonostante il suo cuore un po’ debole, non si è mai tirato indietro di fronte a nessuna richiesta di incontri, conferenze, convegni. Era instancabile e di grande disponibilità.
Posso ben dire che con la sua passione e indiscussa autorevolezza, ha fatto da traino a tale rinnovamento catechistico ed è stato per me di grande sostegno ed esempio di dedizione alla “causa”.
Anche quando, su indicazione della Conferenza episcopale italiana, nel 1997 fu istituito all’interno dell’Ufficio catechistico il “Settore Irc” (con don Diego responsabile) distinto, seppur in stretta collaborazione con l’Ufficio catechistico diocesano (del quale io assunsi la direzione), non venne mai meno la nostra collaborazione, l’amicizia fraterna e la stima reciproca.
Per questo suo lavoro appassionato per il rinnovamento catechistico della nostra diocesi e delle parrocchie, riconosciuto da tanti preti e da migliaia di catechisti e famiglie, non possiamo che essergli riconoscenti.

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