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Emergenza demografica: una tenaglia che rischia di “stritolare” l’economia veneta
Una tenaglia demografica potrebbe stritolare il Veneto e cancellare il suo pil dei record. Da una parte le nascite sono in continuo calo, dall’altra, già oggi, le aziende non trovano i lavoratori necessari a onorare gli ordini. Unioncamere e Anpal segnalano per il periodo ottobre-dicembre 2023 una richiesta di 472 mila lavoratori e si prevede che più della metà di questi posti non saranno assegnati. Da lontano, invece, arriva l’ondata della denatalità. In Italia scenderemo per la prima volta nel 2023 sotto i 400 mila nati. Se l’impatto della denatalità sul mondo del lavoro negli ultimi dieci anni, con i giovani tra i 15 e i 34 scesi a 28500 unità, pari al -2,8 per cento, è stato accettabile, non sarà così nei prossimi anni: la classe dei diciottenni non arriva a 50 mila unità in tutto il Veneto, e se si guarda la natalità, si vede che i maschi e le femmine di un anno di età sono poco più di 30 mila. Tra il 2023 e il 2027, ad esempio, il mercato del lavoro veneto richiede poco meno di 250 mila addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione. In un contesto del genere, ci si aspetta meno disoccupazione, in realtà non è così: nel 2023 avremo in Veneto (dati Cgia di Mestre) 63 mila nuovi disoccupati (+4 per cento) i neet (ovvero ragazzi che non studiano e non lavorano) sono il 13,4 per cento.
Le province venete più colpite dalla denatalità sono state Rovigo e Belluno. Se il capoluogo polesano in questo ultimo decennio ha subito una contrazione del 15,3 per cento (-7.214 giovani tra 15-34 anni), quello dolomitico ha registrato un -5 per cento (-1.976). Più contenute, invece, le flessioni di Padova con -2,9 per cento (-5.481), Vicenza con -2,4 per cento (-4.487), Verona con -2 per cento (-3.942), Treviso con -1,7 per cento (-3.083) e Venezia con -1,4 per cento (-2.263).
La ricerca “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani”, realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani, mostra un “futuro da fame” per gli under 35, costretti a rimanere al lavoro fino a 74 anni con assegno medio di circa 1.100 euro al mese o fino a 69,6 anni e con assegno ipotetico di appena 950 euro al mese.
“Per garantire strutturalmente una prospettiva diversa è necessario che il numero dei lavoratori attivi superi quello dei pensionati o almeno lo equivalga, così da generare quel surplus (attivo) di valore prodotto dall’economia del Paese e garantire i diritti acquisiti di chi è già in quiescenza e non penalizzare ulteriormente chi dovrà arrivarci - spiega Massimiliano Paglini, segretario generale della Cisl di Belluno e Treviso -. “Ammesso che le misure fin qui introdotte per sostenere la natalità (assegno unico, bonus, ecc) funzionino, se dovesse raddoppiare il tasso di natalità che oggi è di 1,2 figli per donna in età fertile, in ogni caso i risultati saranno visibili tra vent’anni”.
Restringendo la prospettiva alle nostre province diocesane, le notizie non migliorano. Da qui al 2037 - fra poco più di 13 anni -, la provincia di Treviso avrà bisogno di almeno 50 mila nuovi lavoratori per garantire il funzionamento del sistema produttivo privato e pubblico: dall’operaio semplice, all’impiegato dell’anagrafe comunale, al medico ospedaliero.
A Venezia sono previste da qui a dicembre 18.750 assunzioni, secondo le stime del progetto Excelsior di Unioncamere Veneto, si concentreranno per il 72 per cento nel settore dei servizi e per il 59 delle imprese con meno di 50 dipendenti. Attenzione, però: in 57 casi su 100 le imprese prevedono di avere difficoltà a trovare i profili desiderati. In 22 casi su 100 le assunzioni riguarderanno immigrati. A Padova sono previste 20.950 nuove entrate che in 56 casi su 100 non saranno soddisfatte. Appena meno ingressi a Treviso, 19.590, qui cresce il numero dei posti non coperti, addirittura 60 su 100. Il 45 per cento delle richieste riguarda operai specializzati, solo l’11 per cento profili generici.
Nel complesso, in Veneto si prevedono nell’immediato futuro 45 mila ingressi, di cui soddisfatti meno della metà.
La Regione del Veneto risponde a questa crisi, tra l’altro, con nuovi finanziamenti a sostegno della famiglia e della natalità per 800 mila euro che si aggiungono ai 396 mila euro stanziati per i Consultori familiari socio educativi e con voucher per l’accesso ai servizi per la prima finanza per 10 milioni di euro (un contributo a figlio fino a 800 euro per la retta del nido prima infanzia). Somme consistenti, ma che di fronte al fenomeno epocale sembrano poco più che un pannicello caldo.