martedì, 01 aprile 2025
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Una cura che sostiene: intervista al dottor Gava

Per tutti gli anni della professione, il dr. Alessandro Gava, primario di Radiologia al Ca’ Foncello dal 2009 al 2021, quando è andato in pensione, ha posto il valore delle parole in cima ai suoi pensieri. Dopo 33 anni, ha lasciato la presidenza della Lilt di Treviso, Lega italiana per la lotta contro i turmori, a Nelly Mantovani. Ha contribuito a farla nascere e crescere in tutto il territorio regionale

Mentre sfoglia le pagine dattilografate del diario di un paziente, la memoria torna agli inizi dell’esperienza di medico e il ricordo si focalizza su un aspetto che ha sempre ritenuto essenziale: il valore delle parole, quelle che possono spiegare, comprendere, sostenere o anche ferire, inabissare, chiudere. Gli appunti così intimi gli sono stati consegnati tanti anni fa come scrigno prezioso dalla moglie di un malato di cancro, che di lì a poco sarebbe mancato. Nella sua epigrafe, aveva scelto di inserire il versetto del Vangelo di Giovanni che recita: “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. (...) Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Per tanto tempo queste parole sono risuonate nella testa (e anche nell’animo) del dottor Alessandro Gava, che le ha poste tra i fondamentali del suo essere medico e presidente della Lilt provinciale di Treviso. Per 40 anni ha varcato tutti i giorni le porte dell’ospedale di Treviso, in prima linea nella lotta contro i tumori, e per altrettanti anni e ancora di più ha guidato l’associazione trevigiana: a entrambe era arrivato poco più che studente di medicina dell’Ateneo patavino. Al Ca’ Foncello, in particolare, doveva scrivere la tesi di laurea sotto la guida del professor Pietro Patrese, del quale ha raccolto l’eredità.

Nel 2009 è diventato direttore dell’unità di radioterapia del nosocomio cittadino mentre, nel frattempo, guidava la Lilt che ha contribuito a fondare, attraverso le tante iniziative e progetti che hanno permesso di consolidare l’idea della prevenzione tra la gente. Lo ha sempre accompagnato la consapevolezza che la guarigione dei tumori costituisce la principale sfida dei medici della sua generazione, e che l’impegno scientifico in lui poteva coniugarsi con l’attenzione alle tante questioni emotive e psicologiche che la malattia tumorale determina nei pazienti e nei loro familiari.


La sfida è la prevenzione e la prevenzione nasce donna

“È Patrese che mi chiamò nel 1978 per fondare insieme la Lilt di Treviso - ricorda -. Nei primi anni di attività il nostro compito non fu facile: il cancro era considerato un tabù, veniva sempre associato a una prognosi assolutamente infausta, la prevenzione era una parola sconosciuta, gli interventi chirurgici per lo più demolitivi, la riabilitazione una pratica occasionale”.

È stato compiuto un grande lavoro di sensibilizzazione della popolazione e delle strutture del servizio sanitario e, a distanza di anni, le evidenze sono davvero tante: la prevenzione primaria e la diagnosi precoce sono armi fondamentali nella battaglia contro il tumore, lo screening nel nostro territorio viene realizzato con percentuali di adesione elevate. C’è la consapevolezza che di cancro si può guarire. “Senza dubbio il volano principale della prevenzione è stata la donna - riflette Gava -; è lei la «regista» della sanità familiare, nell’accudimento dei bambini e degli anziani, nella cura dei mariti quando malati. E non a caso la prevenzione ai tumori femminili è tra gli ambiti più radicati nella consapevolezza delle persone, insieme all’adozione di stili di vita sani, alla pratica dell’attività fisica, alla lotta al fumo e all’obesità”.
In oltre quarantacinque anni di storia la Lilt di Treviso è cresciuta in modo importante: a oggi conta 6 delegazioni a Treviso, Castelfranco Veneto, Conegliano, Montebelluna, Vittorio Veneto e Oderzo e una rete di sostegno che abbraccia l’intera provincia. Oltre 850 sono i volontari attivi, i servizi spaziano dal sostegno psicologico alla riabilitazione fisioterapica, alla dermopigmentazione fino alle consulenze alimentari, e sono espressione dell’impegno a rendere il cammino di chi affronta la malattia meno arduo. Due importanti fiori all’occhiello sono il comitato Giocare in corsia, che opera nelle pediatrie di Treviso e Conegliano, e il Trasporto del malato oncologico verso i luoghi di cura della provincia e oltre, che conta ormai oltre 200 autisti, 31 mezzi e 470 mila km all’anno per 600 persone aiutate. Da un paio d’anni la Lilt ha la sede provinciale in una laterale di Strada Ovest, a Treviso, dove è stato acquistato all’asta un vecchio capannone industriale, poi completamente ristrutturato. Qui sono raccolti tutti i servizi e i progetti oltre a una palestra, una sala conferenze, una cucina didattica per educare concretamente a una corretta alimentazione, e altre sale dedicate ai corsi aperti al pubblico (come per esempio quello per la disassuefazione al fumo) e alla formazione di volontari o agli incontri con le scuole.

Nella sua mission la sanità pubblica

Oltre ad aver legato indissolubilmente il suo nome alla Lilt di Treviso (ha lasciato la presidenza a fine 2024, dopo 33 anni, ndr) – e ora Veneta in quanto coordinatore regionale -, il dottor Gava ha anche segnato il passo dell’ospedale di Treviso nell’ambito della Unità operativa di Radioterapia oncologica, avendo ricoperto per tanti anni il ruolo di primario. “Ho vissuto un’epoca di grandi cambiamenti in questo ambito, se solo pensiamo che, sul finire degli anni settanta, la Tac era un esame diagnostico eseguito solo per il cervello, non c’erano risonanza magnetica o fibre ottiche, l’ecografia era eseguita solo in gravidanza”. I progressi nel campo scientifico e tecnologico hanno prodotto importanti risultati con strumentazioni sempre più sofisticate e performanti, oltre che con risultati clinici sulla salute della popolazione importanti. “In questa prospettiva, la sanità pubblica resta il luogo della formazione, della sperimentazione, della collaborazione. Evoluzioni che oggi sono la norma, sono conquiste del tempo: per esempio il lavoro per équipe multidisciplinari, la stessa prevenzione primaria e secondaria, l’attenzione alle dinamiche di genere nelle professioni sanitarie”.
“Ho un legame profondo con l'ospedale Ca’ Foncello, che ho sempre sentito come la mia seconda casa – aveva detto congedandosi per la pensione nel 2021 -. Al suo interno ho vissuto esperienze professionali uniche e ho conosciuto medici straordinari che mi hanno guidato, ispirato, trasmettendomi il significato e il senso profondo di questo lavoro. Ringrazio tutti i miei collaboratori, che hanno seguito e condiviso gli obiettivi indicati e hanno sempre messo il paziente e le sue esigenze al centro del nostro lavoro, stabilendo una reale alleanza terapeutica con i nostri malati in un clima sereno e cordiale”.

Una vita a contatto con la morte

“Quando ho cominciato a lavorare in ospedale il tasso di mortalità per il tumore era del 65%, ora la stessa cifra indica i dati di sopravvivenza - commenta -. All’inizio senza dubbio, ho dovuto fare i conti con una professione che inevitabilmente intreccia la morte”, ma non solo quella. Solo dal 2012, ad esempio, a Treviso è presente l’unità operativa complessa di Terapia del dolore, evoluzione del servizio di Terapia antalgica praticata in pazienti oncologici, ma anche in postoperatori. “Ho imparato negli anni ad avere attenzione per le parole che uso, al mio modo di comunicare e di relazionarmi con le persone malate, mettendo al centro un ascolto attivo con atteggiamento empatico ed equilibrio tra giusta vicinanza e altrettanto corretta distanza. In passato avevo timore di alcune domande, soprattutto sulla prognosi, che mi rivolgevano sia i pazienti che i loro familiari. Oggi è senza dubbio diverso, perché le prospettive di vita sono davvero molto più alte”.

Non si tratta di supposizioni e congetture, ma di solidi dati epidemiologici: il cancro può essere sconfitto e in molti casi tenuto a bada per anni. I dati parlano chiaro: in Europa da alcuni tumori si guarisce in più di 8 casi su 10. Succede, per esempio, per il tumore del testicolo (nel 94 per cento dei casi), della mammella (90% quando diagnosticato in fase precoce), della tiroide (87 per cento per le donne e 70 per cento per gli uomini) e per i melanomi cutanei (86 per cento nelle donne e 76 per cento negli uomini). Le percentuali di guarigione sono più basse, ma comunque superiori al 60 per cento, per il tumore della cervice uterina e della prostata, per i linfomi di Hodgkin e per il tumore dell’endometrio, con punte del 76 per cento per quest’ultimo.
“Oggi la frontiera in campo oncologico riguarda l’accesso a nuovi farmaci ad alto costo e la domanda di fondo è: come allocare le risorse che ci sono, evitando un loro uso improprio e tenendo conto dell’equilibrio necessario tra costi e benefici? - riflette Alessandro Gava -. Garantire l’equità nell’accesso alle cure andrà sempre più di pari passo con la prevenzione e l’accompagnamento. Non c’è un’altra via”.

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