martedì, 17 settembre 2024
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Un linguaggio senza ostilità

Una sessantina di “influencer” uniti a Trieste per dire “basta” col linguaggio fatto di violenza, discriminazione e odio da cui è nato il Manifesto della comunicazione non ostile” (paroleostili.it). Spesso ad essere colpite sono le donne. Intervista al professor Giovanni Grandi.

LLa ferita provocata da una parola non guarisce. E’ il proverbio, uno dei tanti dedicato alla forza, anche distruttrice, delle parole, che dà il senso al “Manifesto della comunicazione non ostile” (paroleostili.it), presentato lo scorso 18 e 19 febbraio a Trieste da un gruppo di una sessantina di “influencer”, molti professionisti del web, ma anche altri provenienti da esperienze, settori e stili diversi, uniti dalla volontà di dire “basta”, torniamo a parlare un linguaggio che sia lontano da violenza, discriminazione e odio. E attorno al Manifesto (pubblicato in pagina a sinistra) sono nate due giornate di studio, con 2.000 persone presenti, a cui sono stati invitati come testimonial, fra gli altri, la presidente della Camera Laura Boldrini e il cantante Gianni Morandi, testimoni a loro spese di pesanti insulti via web. Un’iniziativa capace di coinvolgere 17.000 persone per scegliere, votando online, i 10 principi che poi sono confluiti nel Manifesto. Tra i promotori vi è Giovanni Grandi, professore associato di Filosofia Morale all’Università di Padova.
Prof. Grandi, i numeri degli aderenti al Manifesto ci indicano che era urgente intervenire su questa che è una deriva preoccupante del nostro linguaggio quotidiano...
Dire di sì, la partecipazione sopra le aspettative è indubbiamente segno di una preoccupazione molto diffusa. Sappiamo che online si moltiplicano i casi di offesa ai danni di “categorie” specifiche – donne, immigrati, persone con disabilità… –, anche grazie alla possibilità di nascondersi nell’anonimato dei profili social. Spesso però l’ostilità si origina anche per superficialità e disattenzione, proprio perché non pesiamo bene le parole che impieghiamo per esprimere disaccordo o distanza. Soprattutto a queste difficoltà guarda il Manifesto, che è scritto come un vademecum, in prima persona, per allenarsi a uno “stile-non-ostile”.
Ad essere colpite dall’odio via web sono spesso donne anche famose, di un certo “potere”, cosa che non si coglie per gli uomini. Pensiamo alla presidente Boldrini o alla campionessa Bebe Vio, oggetto di odiose pagine facebook. O al titolo sessista contro la sindaca Raggi. Come mai?
E’ vero, ci sono persone più colpite, spesso donne, ma questa evidenza non deve farci perdere di vista che la radice del problema risiede nell’animo di chi oltraggia più che nella “categoria” bersagliata. Chi insulta sceglie fisiologicamente i “bersagli” che ritiene di poter colpire senza portare le conseguenze del proprio gesto. Questo però vale sia online sia offline e non si tratta di una questione di cultura né di genere. I modi aggressivi spesso nascono da paure, incomprensioni o ferite che segnano la vita e portano a maturare risentimenti e desideri di rivalsa. E’ in questa logica che si finisce per percepire ogni diversità come una minaccia, attaccando con violenza quanti la rappresentano.
Arrivati a questo punto, davvero basso, sarebbe d’accordo con forme di censura dei social network? Se non sappiamo usare la parola, meglio toglierla?
Ci sono delle proposte in questo senso, la stessa presidente Boldrini ha sollecitato Mark Zuckerberg ad aumentare il livello di filtro su Facebook anche in Italia. Le forme di censura hanno però efficacia limitata, per questo l’iniziativa di ParoleO_stili punta piuttosto alla sensibilizzazione e alla formazione. Partiranno alcune iniziative per le scuole, con un primo appuntamento a Milano il 4 maggio, proprio per sostenere nei più giovani la diffusione di una cultura diversa, capace di esprimere dissenso senza ferire e di prendersi il tempo di pesare le parole, riconoscendo autonomamente le possibili derive violente.
Anche perché dalla violenza verbale a quella fisica il passaggio è breve...
Sì, è vero, sono spesso collegate, ma proprio perché il passaggio non è obbligato è importante puntare sulla formazione delle coscienze.
 

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