Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
I nostri figli digitali sfidano la Chiesa
Don Giovanni Giuffrida, docente all’Istituto teologico e all’Issr di Treviso e Vittorio Veneto, parla delle sfide pastorali nei confronti delle giovani generazioni che “abitano” il mondo dei nuovi media.
L’azione pastorale verso i giovani è chiamata sempre di più a misurarsi con un contesto nel quale l’esperienza di relazioni tecnologicamente mediate struttura la concezione stessa del mondo, della realtà e dei rapporti interpersonali. Come rispondere, allora, a questa sfida? Domanda che la Rivista della Facoltà teologica del Triveneto ha posto a don Giovanni Giuffrida, docente di Teologia pastorale all’Istituto teologico e all’Issr di Treviso-Vittorio Veneto, in un numero speciale in gran parte dedicato al prossimo Sinodo dei giovani. Tre docenti approfondiscono alcuni passaggi del Documento preparatorio al Sinodo. In particolare, ci si è soffermati su come il mondo dei new media sia ormai divenuto «un luogo di vita» per le giovani generazioni, mentre «la comunità cristiana sta ancora costruendo la propria presenza in questo nuovo areopago».
Don Giovanni, quale cultura è necessario sviluppare per rispondere a giovani che chiedono di essere protagonisti?
Proprio sulle relazioni si gioca, a mio avviso, la sfida pastorale della chiesa nei confronti dei nostri giovani «figli digitali» (cf. C. Giaccardi). In questi ultimi 15 anni l’esplosione dei social media sta a significare che più che desiderare di abitare “mondi virtuali”, i giovani sono interessati a stare in relazione e a comunicare. I giovani oltre che cercare riconoscimento mettendosi “in vetrina” (cf. V. Codeluppi e il processo di «vetrinizzazione sociale») offrono anche segnali di una socialità che in qualche modo tende a tener conto degli altri, svolgendo anche un ruolo di collante relazionale. In effetti, i nuovi media interattivi consentono una “socievolezza” e un protagonismo che non è relazionalità e reciprocità in senso pieno, ma ne può costituire il presupposto. In altri termini, la prossimità cercata su internet (per sentirsi meno soli), può essere vista come un potente richiamo a desiderare, cercare e vivere quella insostituibile prossimità relazionale che si vive solo, come dice il teologo Pierangelo Sequeri, nella «comunicazione personale del senso e di un’esperienza pratica della libertà». Oggi l’azione pastorale non consiste allora tanto nel «dare una verniciatura digitale alla testimonianza cristiana» (cf. C. Giuliodori) illudendosi che sia sufficiente adottare qualche nuovo strumento di comunicazione, qualche nuovo linguaggio per rendere l’azione pastorale più accattivante. Si tratta piuttosto di abitare questa cultura valorizzando la testimonianza cristiana che offre l’incontro e la sequela “reali” – o meglio storici – di Gesù Cristo e una concreta esperienza di vita nella fraternità del suo corpo ecclesiale.
La comunicazione come incontro è tema caro a papa Francesco...
Si tratta di sviluppare una cultura dell’incontro, come scriveva il Papa nel 2014: «Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione». Il distacco dei giovani dalla chiesa, come messo in evidenza da ricerche recenti (cf. Bichi-Bignardi), deriva dal fatto che non si sentono coinvolti nella vita ecclesiale per un’assenza di relazioni che la rende anonima e poco attraente. Per questo non basta che la Chiesa e la parrocchia trovino un loro posto nel cyberspazio (magari creando un profilo Facebook), devono anche preparare un incontro “reale” con i giovani. In altre parole instaurare relazioni che mettano al centro ogni giovane nella sua situazione concreta, che lo facciano sentire importante e riconosciuto nella sua singolarità, educandolo gradualmente ad un’assunzione di responsabilità nella vita ecclesiale e sociale.
La trasformazione culturale e sociale in atto incide nell’esperienza religiosa dei giovani: come accompagnarli in un discernimento vocazionale?
Si tratta di incontrare questa «generazione (iper)connessa», o meglio, incontrare ogni giovane entrando in dialogo con lui e costruendo con lui percorsi di accompagnamento personali ed ecclesiali adeguati alla sua situazione. Accompagnare in un “discernimento vocazionale” significa cercare di intercettare, attraverso la relazione “ospitale”, i segni di bene e le “tracce di Rivelazione” che già ci sono nella vita di un giovane, per risvegliarli e sostenerli e far sì che ognuno possa accoglierli come appelli alla sua libertà che attendono una risposta che è, e rimane, personalissima. E il Vangelo interviene per illuminare la vita, per interpretarla più in profondità. Gesù Cristo e la Chiesa con la Scrittura e la sua “memoria testimoniale” (la Tradizione) diventano chiave interpretativa per cogliere in pienezza l’appello di Dio e le risorse di umanità della vita di un giovane. Questo può avvenire se si attivano relazioni ecclesiali di qualità con testimoni giovani e adulti credibili «che sappiano mostrare come la fede, intrecciandosi con la vita quotidiana, dia compimento ai desideri più profondi della vita, le apra orizzonti dai significati impensati, sia alleata della domanda di felicità, di pienezza, di senso che vi è in ciascuno» (cf. P. Bignardi). Ma ancor prima, in una cultura digitale come quella nella quale ci muoviamo e che spinge sempre di più all’estroversione (fino alla «estimità», cf. S. Tisseron), è decisivo che un giovane sia aiutato a riprendere contatto con se stesso e con il suo mondo interiore, prima che offrendogli una “grammatica” per decifrarlo, attraverso una “pausa”, una interruzione dell’ordinario, uno spazio di silenzio, di riflessione e di relazione significativa (figure amicali o di accompagnamento personale). Come ebbe a dire Benedetto XVI nel 2012: «Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo, fatto di parola, ma anche di invito alla riflessione e al silenzio, che, a volte, può essere più eloquente di una risposta affrettata e permette a chi si interroga di scendere nel più profondo di se stesso e aprirsi a quel cammino di risposta che Dio ha iscritto nel cuore dell’uomo».
Quali sono oggi i luoghi della pastorale? Quale lo spazio del mondo digitale?
Il mondo digitale è certamente un «luogo antropologico» (in quanto relazionale, identitario, storico) nel quale un giovane entra portando ciò che lo lega al suo habitat quotidiano. Ormai le giovani generazioni si muovono, di fatto, in un ambiente unico di cui i vecchi e nuovi media sono parte costitutiva e integrata. Abitare da cristiani questa cultura significa allora innanzitutto che i giovani trovino adulti che vivono in ogni luogo una vita ordinaria plasmata dalla fede (visione del mondo, scelte, e quindi anche modo di comunicare e di relazionarsi fuori e dentro la rete). E’ pure importante che i giovani possano trovare ambienti, ecclesiali e non, dove si vive la bellezza e la fatica delle relazioni; luoghi caratterizzati da un clima fraterno, accogliente, gratuito, di amicizia, capaci di coinvolgerli in tutte le dimensioni; capaci di far riscoprire la bellezza e il significato del corpo, del linguaggio, dello spazio fisico (naturale e materiale) e del tempo (del giorno e della notte), delle regole, dell’autorità e delle istituzioni; capaci di ricreare il giusto equilibrio tra parola e silenzio, imparando anche a spegnere, talvolta, lo smartphone e il pc. I luoghi propriamente ecclesiali (parrocchia, oratorio, ecc.) sono quelli che favoriscono, attraverso l’annuncio, la liturgia, la fraternità e il servizio, la rielaborazione dei vissuti e delle esperienze dei giovani alla luce dell’incontro con il Vangelo, generando vita cristiana. Oggi però ci è richiesto di abitare, più di un tempo, anche i contesti extra-ecclesiali come la scuola, l’università, gli ambienti sportivi e professionali attivando anche in essi percorsi possibili di ricerca “vocazionale”, in senso lato, attraverso il dialogo e il legame con figure di giovani e adulti cristiani che già operano in questi luoghi. (P.Z.)