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Raccontare la guerra sempre dal punto di vista delle vittime

Lucia Goracci, inviata Rai nei conflitti, è stata ospite dell’incontro organizzato dal Giavera festival, edizione invernale. Prossimo appuntamento, il Capodanno al Palamazzalovo

Da ventotto anni in Veneto c’è una piccola utopia ed è il Giavera festival, con tutte le sue declinazioni, crocevia di incontri e culture, come si legge nel suo nome completo. Stare insieme, pacificamente e con gioia, tra diversi, come diversi sono i migranti di allora e di oggi, ha precisato Stefano Donà, tra gli organizzatori di questo festival in viaggio, per incontrare, conoscere, scambiarsi. E il primo incontro di questa edizione invernale, “I tempi che viviamo - ha spiegato don Bruno Baratto - non ci permettono di attendere fino all’estate”, ha avuto come protagonista Lucia Goracci, inviata della Rai, sempre presente nei luoghi “caldi” del mondo, nei conflitti e nelle aree di crisi e a Treviso, lunedì 18 dicembre, nella chiesa di santa Croce, per parlare di “Il mondo che ci desideriamo”. “Mi piace molto questo titolo - ha detto la giornalista -, perché ci desideriamo è diverso da ci auguriamo. Un mondo in carne e ossa, dove sia possibile l’incontro sempre. Ai media spetta di continuare a rappresentare la complessità del mondo, anche a un pubblico abituato alla situazione binaria dei social, o stai di qua o stai di là, è tutto bianco o nero. Se cerchi di spiegare che non è così, ti giudica e ti mette tra gli amici di Putin o di Hamas. Il mondo è complesso, la guerra è complicata: io vado, vedo, riferisco, non ho opinioni su tutto. Il mondo in carne e ossa è un mondo imperfetto. Se noi Occidente ci sentiamo portatori di valori, e in parte lo siamo, questi valori devono essere universali, valere per tutti, tanto per l’Ucraina, quanto per la Palestina”. Perché togliere l’elettricità in Ucraina è un crimine di guerra e a Gaza no? I valori universali sono tanto più forti quando sono veramente universali. “Altrimenti rischiano di diventare meno cogenti”, ha detto l’inviata.

Andando a fondo del suo lavoro, sollecitata dalle domande di don Bruno Baratto, Goracci si è detta contro un giornalismo emotivo e semplificato. “La forza del nostro mestiere - ha ribadito -, risiede nella sua terzietà, e in guerra il rischio è di essere tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra. Tutti cercano di vincerti alla loro causa. Noi dobbiamo, invece, cercare di esprimere empatia, quello sì, senza schierarci. Possiamo simpatizzare, ma non forzare la realtà dei fatti alla nostra simpatia”.

Il compito del giornalista non è quello di assolvere o di condannare, ma di rappresentare le cose come stanno, senza seguire il mainstream, ma avendo sempre uno speciale punto di osservazione, quello delle vittime: “Dove c’è una guerra, c’è un rischio di propaganda di guerra. Stare con le vittime non ti fa mai sbagliare. Ci sono media, come «Rivista +972, giornalismo indipendente da Israele e Palestina», che hanno raccontato come si sta combattendo in Palestina. Che è diverso di raccontare la guerra quando subentra il drone e la guerra si fa distante dalle persone”.

I civili sono gli informatori dei giornalisti, donne e bambini soprattutto, hanno il polso della situazione. Senza strumentalizzare il loro dolore, puoi offrire ai tuoi lettori e ascoltatori, un racconto sincero e veritiero di quanto sta accadendo, “e che puoi fare solo stando con loro, sentendo freddo, caldo, stanchezza, per lunghi periodi, quando vivi la guerra con loro”, ha aggiunto, sottolineando che i problemi del mondo non si risolvono certo con le armi e non sono iniziati certo lo scorso 7 ottobre a Gaza e tra Palestinesi e Israeliani. Gaza, “da dove non puoi fuggire, dove la morte ti insegue, dove sono morte 20.000 persone ormai, il 70 per cento donne e bambini, 15 volte il numero di morti nell’attacco del 7 ottobre, una strage inconcepibile, terribile, ma che non può essere foriera di altre stragi, altrimenti tu Europa non ti distingui nel tuo ruolo di portatrice di valori. Altrimenti è una vendetta di Stato, non è legittima difesa, che rischia di gettare i semi di un risentimento che quei bambini che sopravviveranno porteranno per sempre”. Con quali conseguenze, è facile immaginarlo. Non è questo “il mondo che ci desideriamo”.

I prossimi appuntamenti sono il Capodanno al Palamazzalovo di Montebelluna e “Di notte e di luce”, sabato 13 gennaio al teatro di villa Wassermann di Giavera del Montello, dedicata agli abitatori precari di questo meraviglioso e fragile mondo.

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