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Giavera festival: dove spira oggi il vento della pace?

Si è conclusa la 27ª edizione con ospiti i Premi Nobel della rivoluzione tunisina dei gelsomini

“Dove vanno i venti che soffiano in questi tempi e che tante volte ci disorientano?”. e’ la domanda che il presidente di Giavera festival don Bruno Baratto si è chiesto e ha chiesto ai presenti all’incontro con gli esponenti del quartetto per il dialogo e la transizione democratica nella rivoluzione dei gelsomini, in Tunisia, nel 2011, insigniti del Premio Nobel per la pace nel 2015. Non è stato facile averli ospiti al 27° Giavera festival. Nella giornata finale, domenica 17, si è riflettuto di quel momento molto delicato per il Paese africano, alla vigilia di un momento altrettanto delicato: il 25 luglio si vota il referendum per la nuova Costituzione ultra presidenziale voluta da Kais Saied, che da un anno ha assunto il pieno controllo del Paese. Per molti analisti è questo l’atto finale che seppellisce le speranze nate con la rivoluzione dei gelsomini.

Nel 2011 quattro organizzazioni hanno messo da parte i loro interessi specifici e hanno lavorato insieme per il bene della Tunisia. Si tratta di: Unione generale tunisina del lavoro; Confederazione tunisina dell'Industria e del Commercio; Lega tunisina per la difesa dei diritti dell’uomo e Ordine nazionale degli avvocati di Tunisia.
A Giavera erano presenti Ouided Bouchamaoui, imprenditrice, amministratrice delegata dell’Hédi Bouchamaoui group, presidente dell’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato dal 2011 al 2018, e Mohamed Fadhel Mahfoud, avvocato, presidente dell’Ordine nazionale degli avvocati di Tunisia dal 2013 al 2016, per un periodo anche ministro. Era, inoltre, presente Bochra Belhaj Hmida, avvocata, che era già stata al Festival e ha reso possibile l’arrivo dei Nobel quest’anno. Ad ascoltare il loro racconto c’erano il sindaco di Giavera, Maurizio Cavallin, e una rappresentante del Centro Papisca di Padova, che festeggia 40 anni di impegno per promuovere i diritti umani e la cultura della pace, collaborando anche con le associazioni del territorio.

Bochra Belhaj Hmida si è detta molto felice “di avere la possibilità di incontrare i cittadini, di intessere relazioni, condividere insieme gli stessi valori e le stesse aspirazioni. Quando si parla di Tunisia, si parla di persone del sud, si dice che non siano cresciute in una democrazia, ma chiunque aspira sempre a essere libero. La nostra prima esperienza di democrazia risale al 2011. Prima avevamo un regime dispotico. Volevamo avere la democrazia, ma è necessario che ci siano determinate condizioni, alcune delle quali ancora oggi mancano. Se non ho un minimo di confort materiale, se non ho sicurezze, se non posso garantire istruzione ai figli, se non posso curarmi, anche l’aspirazione alla democrazia perde la sua spinta. Ma abbiamo il dovere di lavorare ancora in questa direzione”.
Quello che preoccupa è il populismo in Tunisia, mentre il dialogo sui diritti umani si è un po’ arenato. Si poteva fare di più. Forse anche Italia ed Europa potevano fare di più: collaborare per la libera circolazione, per cercare di migliorare le loro condizioni di vita.

L’imprenditrice Ouided Bouchamaoui ha ripercorso quei giorni: “Nel nostro Paese c’erano stati due omicidi, erano stati uccisi un attivista e un parlamentare. Le quattro organizzazioni si sono unite per cercare di dare più speranza ai cittadini, che in piazza chiedevano di avere più democrazia, lavoro e libertà. Tra noi non c’era un leader, facevamo insieme dopo aver stilato una tabella di marcia, in cui abbiamo coinvolto i partiti, portando alla caduta del governo e a un governo di tecnocrati prima delle elezioni democratiche del 2014”. Quel successo pacifico ha portato al Premio Nobel il 9 ottobre 2015: “C’era un grande senso di fierezza, la sensazione di aver fatto qualcosa di grande per il nostro Paese, fieri di essere tunisini, fieri di aver agito pensando a tutti i cittadini, donne e giovani che erano nelle strade e che hanno partecipato in massa”. L’emancipazione delle donne tunisine, sottolinea l’avvocato Mohamed Fadhel Mahfoud, è evidente qui a Giavera con due donne sul palco a parlare di quei giorni: “Sono stati anni molto difficili, sia prima che durante la rivoluzione, si passava da una crisi all’altra, economica, politica, civile. Non è stato semplice mettere insieme organizzazioni che di solito sono contrapposte, ma ha prevalso la volontà di fare qualcosa insieme. Dopo il premio Nobel ci siamo chiesti: e ora cosa facciamo? Avevamo una grande responsabilità sulle spalle. La democrazia è un esercizio quotidiano”. La democrazia è un esercizio molto difficile, soprattutto quando ci sono situazione economiche problematiche e si tende a mettere in dubbio le conquiste ottenute.

Durante la rivoluzione si chiedevano democrazia, dignità e lavoro. L’aspetto economico è stato tralasciato per avviare un processo elettorale democratico . “Abbiamo bisogno - dicono ora - di trovare risposte politiche all’economia, di incoraggiare i talenti. Inoltre, - precisa l’imprenditrice - è necessario creare nuovi rapporti con i nostri partner. Non siamo solo subappaltatori, ma anche imprenditori. Però dobbiamo poterci muovere liberamente senza tante carte da compilare, come se tutti volessimo emigrare. In Italia avete esempi di tunisini che hanno portato competenze e arricchito la società italiana”.
La Tunisia è un Paese giovane, quasi 12 milioni di abitanti, la maggior parte nella fascia tra 20 e 25 anni. Sono loro quelli a cui l’Europa deve parlare e che la Tunisia ha il dovere di ascoltare, nelle loro aspirazioni e desideri di democrazia e di sviluppo.

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