Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
Fusione tra intelligenza umana e artificiale?
Considerata la massiccia presenza e la capillarità della tecnologia e delle Intelligenze artificiali già nel 2024 all’interno delle nostre vite, è decisamente difficile immaginarcene privi; ma quanto stiamo difendendo quello spazio propriamente umano che l’Intelligenza artificiale non potrà mai occupare?
Ne parla padre Tiziano Tosolini nei suoi libri e negli incontri pubblici, tra cui quello in occasione del Festival Biblico Tech che si è svolto a Vicenza il 9 e 10 novembre.
Tiziano Tosolini appartiene alla Congregazione dei missionari Saveriani e ha vissuto per vent’anni in Giappone, fino al 2019.
Ha studiato Teologia e Pedagogia a Parma e Filosofia all’Università di Glasgow. Dal 2001 al 2021 è stato direttore del Centro studi asiatico dei missionari Saveriani a Osaka e direttore della rivista “Quaderni” del Centro studi asiatico.
Tecnologia e transumanesimo: è davvero pensabile l’homo novus descritto dai transumanisti?
I transumanisti sono autori molto colti, alcuni dei veri geni, e sostengono che a un certo punto l’essere umano farà un passaggio mentale, una vera e propria fusione tra intelligenza umana e artificiale che lo renderà homo technologicus. C’è chi mette una data precisa a questo passaggio: per Ray Kurzweil, autore del volume “La singolarità è più vicina. Quando l'umanità si unisce con l'Ai” (Artificial intelligence, scelta di titolo significativa che ci riporta a terminologie religiose) avverrà nel 2045. Io non credo che questo si verificherà, però ci sarà senza dubbio un nuovo modo di vedere l’uomo, cioè un uomo privato del corpo, nonostante il nostro pensiero non nasca da un algoritmo o da una stringa di codice, ma dalla possibilità di dare voce all’esistenza e interagire con gli altri.
Che cosa implica, invece, avere anche un corpo?
I computer non sono consapevoli di quello che fanno e che dicono, sono solo enormi tabelle con parole che vengono ritenute opportune a seconda di tutto il materiale che hanno analizzato, per cui si prevede da un punto di vista statistico che questa parola segua a quell’altra; ma questo non è pensiero, è calcolo matematico. Dal punto di vista antropologico, ci sarà un cambiamento notevole se davvero verrà a mancare il corpo e, quindi, la nostra relazione, il rapporto con l’alterità. Se la ragione è la possibilità di un pensiero che non sia solo calcolante, questo pensiero ammette l’irriducibilità dell’altro nei miei confronti, l’altro resterà per sempre per me qualcosa che non potrò mai decifrare completamente, ma questa è una ricchezza e non una deficienza. Se i sistemi informatici sono finiti, l’altro è infinito, entra in noi e non viene da noi o dalla macchina. Ho tanta paura che un giorno ci sveglieremo e avremo una grandissima nostalgia di una carezza.
Non solo non sa dare carezze, ma l’Intelligenza artificiale (almeno fino a oggi) è manchevole in quali altri sensi?
Un’altra cosa che perderemo è la trascendenza, che è qualcosa che viene dall’esterno, è un significato che viene rivelato e non nasce da noi. Questi sistemi informatici invece elaborano cose che noi gli abbiamo dato in pasto, ma non hanno capacità di pensiero ulteriore e non sanno pensare l’impensabile, mentre la nostra capacità di apertura ci porta al di là di noi e ci fa stare in questa dimensione. L’Intelligenza artificiale fa cose magnifiche, però credo che sia un sistema chiuso e immanente, produce cose da sé e per sé ma non va al di là di sé, e questo è uno dei grossi problemi del transumanesimo perché così facendo riduce l’uomo a pura immanenza, a fatto meccanicistico: noi siamo corpi fallaci. È vero, lo siamo, ma siamo anche significato, anelito alla trascendenza. E un’altra delle cose che è più nostra è la creatività, quei momenti di “eureka” che le macchine possono descrivere ma non fare: non possono replicare quel momento in cui un uomo vede una mela cadere e tra mille mele che si sono viste cadere inventa la Teoria della gravità.
Stiamo già usando la tecnologia perché agisca al posto nostro, ma in alcuni casi è più difficile pensare di “lasciarle il comando”, per esempio laddove è necessario fare scelte etiche. Secondo lei si può insegnare all’Intelligenza artificiale cosa è bene e cosa è male? E soprattutto, chi glielo potrebbe insegnare di modo che sia universale?
Molte decisioni che vengono prese non lo sono esclusivamente su una base statistica, ma tenendo in mente un sistema molto ampio di fattori. Non a caso le Intelligenze artificiali cadono spesso in bias (pregiudizi, nrd) tanto quanto noi, e dipendono da quali e quanti dati hanno ricevuto; noi possiamo uscirne riflettendo. L’etica ci caratterizza come esseri umani e non è facile insegnarla. Pensi a un target da colpire in ambito militare, come una caverna piena di esplosivi; la differenza tra un drone e un aereo pilotato da un essere umano è che se improvvisamente un bambino passa davanti alla caverna, il drone sparerà, mentre l’uomo ci penserà sopra. Ci sono cose che non sono matematiche, tra queste il bene e il male. Infatti, l’Intelligenza artificiale mira all’esattezza, ma non alla verità, perché la verità presuppone qualcosa di molto più profondo, che si scopre assieme, che si presenta a noi e che non possiamo costruire. Si potrebbe dire alle macchine di imparare le carte dei diritti umani, però non è solo una questione di conoscenza: ci sono tante cose che sfuggono a un ragionamento etico.
Tutto ciò considerato, come ci consiglia di vivere il nostro rapporto con le intelligenze artificiali?
Suggerirei all’umano di farsi una passeggiata, leggere un libro, vedere, toccare le cose che ci circondano. Soprattutto bisogna riuscire a dubitare delle cose: l’Intelligenza artificiale viene presentata come la panacea di tutti i mali, mentre in verità è certo che ci aiuta e su questo non possiamo tornare indietro, ma dal punto di vista della relazione sarà sempre manchevole. Dovremmo salvare questo, la nostra umanità, anche se non è perfetta. Se un Dio ha deciso di farsi carne come noi, evidentemente significa che la nostra carne è diventata mistica.