Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Don Lorenzo Milani la prolusione del prof. Melloni ripercorre il suo cristianesimo aderente al Vangelo
Occorre “tirare fuori” don Lorenzo Milani da quello che è “un uso sciupato del suo nome”, quasi che fosse “un deodorante”, oppure “uno zerbino” sul quale appoggiare i piedi. Occorre precisare il suo profilo, “che non è certo quello di un pretino di campagna”, ma una persona forgiata dalla “cultura ebraica mitteleuropea”, un uomo che “ha fatto una «indigestione di Vangelo»”, vivendolo con una “intransigenza insopportabile”.
Un impegno stimolante, quello delineato dallo storico Alberto Melloni, ordinario di Storia del cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia, e autore del volume “Storia di Mi - ovvero Lorenzino don Milani” (edizioni Marietti, 25 euro, 2023), fresco di stampa.
I principali contenuti del libro e, di conseguenza, un profilo biografico ragionato di don Milani sono stati presentati dallo storico a Treviso, in Seminario, lo scorso 19 dicembre, durante la prolusione intitolata “Don Lorenzo Milani. La forza della parola”, in occasione del Dies academicus 2023-2024 dell’Istituto teologico interdiocesano “Giuseppe Toniolo”, dell’Issr Giovanni Paolo I - Veneto Orientale e della Scuola diocesana di formazione teologica.
Alla presenza, tra gli altri, dei vescovi di Treviso e Vittorio Veneto, Michele Tomasi e Corrado Pizziolo, il prof. Melloni ha ripercorso l’itinerario esistenziale e vocazionale di Lorenzo Milani, partendo dall’infanzia, vissuta in una ricca famiglia borghese, con la madre (Alice Weiss) di origine ebraica con solidissimi contatti culturali a livello europeo (da Joyce a Freud), per proseguire con l’agnosticismo della sua giovinezza, nonostante il battesimo ricevuto a dieci anni, nel 1933, pochi giorni dopo l’ascesa al potere di Hitler, in Germania: una scelta “preveggente” della famiglia, che si salvò, così, dalla Shoah.
La vera conversione di Lorenzo Milani avvenne, però, nel 1943, grazie anche a un grande sacerdote, don Raffaele Bensi. Una passeggiata di un’ora e mezza con quel prete, che stava accorrendo al capezzale di un confratello, fu decisiva. Il giovane decise di entrare in Seminario.
Melloni ha messo in evidenza che Lorenzo Milani si trovò a vivere in un contesto ecclesiale vivacissimo, nella Firenze dove era arcivescovo il cardinale Elia Dalla Costa. In quegli anni, il capoluogo toscano era frequentato da padre David Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci, padre Giovanni Vannucci, e naturalmente, Giorgio La Pira.
Milani diventa sacerdote, viene inviato cappellano a Montespertoli, e poi a San Donato di Calenzano: quartiere operaio, nel quale “entra in contatto con il proletariato, si rende conto del peso dell’anticomunismo nella Chiesa, coglie l’importanza del doposcuola”.
Il giovane sacerdote, ha spiegato il relatore, inizia ad avvertire l’isolamento, che si fa molto più forte quando mons. Ermenegildo Florit prende il posto di Dalla Costa.
In questo contesto matura l’invio a Barbiana. “Era un posto senza speranza - ha evidenziato Melloni -, eppure don Milani, arriva e, per prima cosa, compra una tomba nel piccolo cimitero. Reinventa la scuola, mette mano ai suoi appunti, dà alle stampe «Esperienze pastorali»”. Un successo strepitoso, che viene osteggiato in ogni modo.
La malattia inizia a farsi sentire, il sacerdote “resta obbediente”. “Il suo - ha concluso Melloni - prima della cerimonia di consegna dei diplomi - è un annuncio evengelico autentico, produce effetti, cambia le vite”.