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8 settembre 1943: l’inizio della Resistenza

L’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati anglo-americani venne siglato segretamente il 3 settembre ’43, ma la sua divulgazione avvenne cinque giorni dopo. Quei giorni vissuti a Treviso rivivono anche attraverso alcune fotografie scattate furtivamente
07/09/2023

Non saranno molti, ma sicuramente alcuni Trevigiani oggi ultra ottantenni ricorderanno ancora la scena intravista nel settembre del 1943 sbirciando con cautela dalle imposte semichiuse delle loro abitazioni nel centro di Treviso, quelle superstiti dopo il bombardamento aereo del 7 aprile; un testimone, il rinomato fotografo e operatore cinematografico Aldo Nascimben, riuscì anche a scattare qualche istantanea, sei per la precisione, che ora rimangono uno dei più eloquenti documenti sulla tragicità di quei momenti.

Le foto mostrano una colonna interminabile di militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi nelle caserme di Treviso, mentre venivano trasferiti lungo il Calmaggiore fino alla stazione ferroviaria cittadina, per essere subito dopo caricati su vagoni merci e portati prigionieri in Germania.

In quel tragitto, grazie alla complicità di molti Trevigiani, non pochi riuscirono a dileguarsi, attraversando i portici e intrufolandosi nelle case private, dove ottenevano aiuto e camuffamenti.

Il vero e proprio disarmo dei militari accasermati in Treviso avvenne in piazza Duomo, a opera della Divisione corazzata “Herman Göring”. Lì i soldati italiani gettarono fucili e baionette, formando una catasta che finì col coprire la scalinata della cattedrale.

Le foto scattate furtivamente lungo il Calmaggiore sono state pubblicate da Mario Altarui nel 1979, nella prestigiosa rivista della Cassa di Risparmio trevigiana “Ca’ Spineda”.

Il rovesciamento delle alleanze politico militari

Nell’ultimo mese e mezzo che precedette l’8 settembre, tutto era cambiato in Italia, portando al rovesciamento delle alleanze politico-militari. L’andamento disastroso della guerra sul fronte interno, evidente in seguito all’invasione delle truppe anglo-americane sbarcate il 10 luglio sulle coste della Sicilia e soprattutto i disastri subiti sui fronti esteri, tra Russia e territori italiani d’Africa, avevano comportato la crisi del regime fascista, esplosa con la sfiducia a Mussolini votata nel Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio.

L’arresto di Benito Mussolini immediatamente disposto dal Re e la sua sostituzione con un Governo presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio significarono l’abbandono dell’alleanza con la Germania di Hitler.

L’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati anglo-americani che seguì subito dopo, come naturale evoluzione dei fatti, venne siglato segretamente già il 3 settembre ’43, ma la sua divulgazione avvenne cinque giorni dopo.

Il rovesciamento dell’alleanza venne, infatti, formalizzato proprio l’8 settembre, con la firma a Cassibile (Siracusa). Come si legge nel documento sottoscritto tra le parti avverse, il nuovo Governo italiano riconobbe “la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria” e si arrese incondizionatamente.

A quel punto le truppe tedesche, non più alleate del fascismo, che in parte si trovavano già in Italia (400.000 uomini, in 25 Divisioni, ben equipaggiati e addestrati) e in larga misura erano pronte sui confini ai valichi del Brennero e di Tarvisio, procedettero con l’occupazione del Paese, avanzando fino all’Italia centrale e a Roma.

Per converso, la struttura militare nazionale si andò dissolvendo repentinamente; non diversamente da Re Vittorio Emanuele II che abbandonò Roma per rifugiarsi col Governo a Brindisi, anche i vertici militari italiani reagirono scompostamente, con delle virtuose eccezioni di resistenza agli occupanti nazisti.

Situazione di caos e mancanza di disposizioni dai vertici

I militari di leva furono i primi a pagare la situazione di caos e di mancanza di disposizioni dai vertici; solo in parte essi riuscirono a darsi alla macchia, gettando nei fiumi le armi e indossando abiti civili solidaristicamente offerti dalla popolazione, ma per buona parte andarono a ingrossare le fila di quelli che successivamente saranno definiti gli “Imi”, gli Internati Militari Italiani, inviati al duro lavoro e anche alla morte per inedia e sfinimento, in Germania o in altre nazioni allora rientranti nell’orbita del Terzo Reich.

Seicento trevigiani non fecero ritorno

Dei 33.000 nostri soldati deportati che non fecero più ritorno, circa 600 furono trevigiani.

A Treviso le vicende furono particolarmente gravi, posto che il fascistissimo generale di Divisione Renato Coturri, al quale dal mese di maggio era stato affidato il Comando della Difesa territoriale, dispose la consegna dei militari nelle loro caserme. Coturri si espresse e agì per la resa ai tedeschi. Diversamente accadde a Verona, dove l’8° Reggimento Artiglieria oppose resistenza combattendo contro l’esercito nazista per una giornata intera, e a Vicenza, dove si registrò uno scontro a opera dei Carabinieri.

A Treviso fu tutto più facile per i poco più di 200 tedeschi che l’11 settembre giunsero in città e riuscirono a catturare gli 11/12.000 soldati di stanza.

La cattura di altri italiani in armi avvenne anche nei fronti d’Oltremare, in particolare nei Balcani, dove peraltro si verificarono episodi di eroismo nazionale, che costarono la vita a migliaia di giovani, trucidati dai nazisti; molto conosciuto è l’episodio della decimazione dei militari italiani, per buona parte della Divisione Acqui, presenti sull’isola greca di Cefalonia, invasa dall’Italia. I Caduti nella sola Cefalonia vengono stimati tra i 3.500 e i 5.000 uomini.

Sul suolo nazionale fu più facile sottrarsi alla vendetta dell’esercito nazista.

Molti ci riuscirono, sostenuti dall’aiuto dei civili. Dal nucleo dei renitenti alla leva più formati, iniziò a svilupparsi già dall’autunno-inverno del ’43 il primo nucleo resistenziale, destinato a rafforzarsi sempre più, raccogliendo quanti si opponevano al fascismo, nel frattempo rinato dall’intesa sancita tra Hitler e un Mussolini ormai liberato dai nazisti dalla sua prigione del Gran Sasso.

Dall’8 settembre del 1943, si sviluppò, in definitiva, il movimento di Resistenza che lotterà per oltre un anno e mezzo per ridare all’Italia la dignità di Paese sovrano e democratico.

Dei 33.000 nostri soldati deportati che non fecero più ritorno, circa 600 furono trevigiani. A Treviso poco più di 200 tedeschi l’11 settembre giunsero in città e catturarono 12.000 soldati
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