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Papa in Mongolia: “Siamo tutti nomadi di Dio”

“La sete che ci abita e l’amore che ci disseta”. Papa Francesco si è soffermato su questi due aspetti, domenica 3 settembre, nell’omelia della messa presieduta alla “Steppe Arena” di Ulaanbaatar, nel suo penultimo giorno di viaggio apostolico in Mongolia. Quindi, “il caloroso saluto al nobile popolo cinese”

“La sete che ci abita e l’amore che ci disseta”. Papa Francesco si è soffermato su questi due aspetti, domenica 3 settembre, nell’omelia della messa presieduta alla “Steppe Arena” di Ulaanbaatar, nel suo penultimo giorno di viaggio apostolico in Mongolia. Lo spunto viene dal Salmo 63,2 – “O Dio, [...] ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua” – e dal Vangelo nel quale Gesù “ci mostra la via per essere dissetati: è la via dell’amore, che Lui ha percorso fino in fondo, fino alla croce, e sulla quale ci chiama a seguirlo ‘perdendo la vita per ritrovarla’ nuova”.

Anzitutto, l’invito del Pontefice, “siamo chiamati a riconoscere la sete che ci abita. Il salmista grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto”. Per il Santo Padre, “le sue parole hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia, una terra di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto. Tanti di voi sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare, azione che richiama un aspetto essenziale della spiritualità biblica, rappresentato dalla figura di Abramo e, più in generale, proprio del popolo d’Israele e di ogni discepolo del Signore: tutti, tutti noi, infatti, siamo ‘nomadi di Dio’, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore”. Francesco ha spiegato: “Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita”. E ha aggiunto: “La fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati. No. Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi”.

Il saluto al popolo cinese

“Questi due fratelli vescovi, l’emerito di Hong Kong e l’attuale vescovo di Hong Kong: io vorrei approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese”. Lo ha detto Papa Francesco, nel saluto al termine della messa presieduta alla “Steppe Arena” di Ulaanbaatar, nel suo penultimo giorno di viaggio apostolico in Mongolia, facendo avvicinare a sé, con un gesto a sorpresa, John Tong Hon e Stephen Chow, l’emerito e l’attuale vescovo di Hong Kong, quest’ultimo cardinale designato che riceverà la porpora nel Concistoro del prossimo 30 settembre. E ha continuato: “A tutto il popolo auguro il meglio, e andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini. A tutti. Grazie”.

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