Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Il Vescovo racconta come ha vissuto l’Assemblea sinodale a Roma
“L’esperienza è andata al di là delle mie attese, porto a casa la netta impressione di aver vissuto un momento significativo della storia della nostra Chiesa”: è la prima riflessione, a caldo, che il vescovo Michele desidera condividere sulla Prima assemblea sinodale delle Chiese in Italia, che si è svolta a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura, dal 15 al 17 novembre, alla quale ha partecipato con la delegazione diocesana, formata da Marialuisa Furlan, sorella Laura Vedelago, don Gerardo Giacometti, e Andrea Pozzobon e Ludovica Montesanto, che fanno parte del Comitato nazionale del Cammino sinodale; un gruppo nutrito al quale è da aggiungere don Alberto Zanetti, impegnato in quei giorni con la segreteria della Cei proprio per i lavori dell’Assemblea.
“Una scelta “azzeccata”, quella del luogo dove riunirsi, di una bellezza straordinaria, con quelle grandi immagini di Cristo che ti guardano. La basilica si prestava – sottolinea il Vescovo -, con la divisione interna, ad accogliere i tavoli di lavoro, e i momenti di preghiera e, poi, proprio lì, Giovanni XXIII diede l’annuncio dell’apertura del Concilio Vaticano II: ci siamo sentiti in continuità con l’ispirazione profonda del Concilio”.
I tavoli, impostati sui 17 temi scaturiti dall’ascolto della fase narrativa e dall’approfondimento della fase sapienziale, erano impegnati a sviluppare e ad esplicitare le traiettorie verso proposte operative presenti nella seconda, terza e quarta parte dei Lineamenti. “Eravamo suddivisi in gruppi di dieci persone - racconta mons. Tomasi - e abbiamo lavorato con una bella sintonia, vescovi, sacerdoti, laici, consacrati e consacrate, coordinati da facilitatori perlopiù laici. Ci sono stati dialogo, ascolto reciproco attento e rispettoso, carico di energie e consonanze - anche tra diocesi di diverse parti d’Italia -, che sono risuonati, poi, nella sintesi proposta la domenica. All’inizio questo non era preventivato, né scontato. E’ stato bello trovarsi insieme, incrociarci fra trevigiani, ma anche riconoscersi in quella rete ampia di relazioni che ognuno di noi vive all’interno della Chiesa, riconoscere negli altri le stesse fatiche e le stesse passioni”.
Un volto di Chiesa che tutta insieme cammina, dunque, quello che è emerso nei tre giorni romani, “una Chiesa che è consapevole di avere una missione, di portare un’esperienza e un annuncio, senza voler solo insegnare, una Chiesa che vuole anche imparare dalle altre componenti della Città dell’uomo, dalla comunità civile, una Chiesa che vuole vivere profondamente di relazioni, che vuole essere fedele alla sua missione, nello stile della prossimità. Una Chiesa che riconosce di voler essere parte della storia di questo mondo, sa che i problemi sono grandi e le questioni sembrano superiori alle nostre forze, ma è consapevole che siamo portatori di una speranza, che l’incontro con Cristo è qualificante per ogni cosa che noi facciamo, e che forse vuole camminare più leggera, seguendo il Buon Pastore che camminava leggero”.
Ora, qual è il desiderio per proseguire il lavoro nella nostra diocesi? “Che il calore e la forza di questa esperienza si possa trasferire anche da noi - l’auspicio del Vescovo -, soprattutto a quelli che fanno più fatica, in questo momento, a lasciarsi convincere dalla bellezza del cammino, al di là delle fatiche, che ci sono. E’ stato riconosciuto, in tutti i passaggi, che il tempo è difficile. Ci sono le guerre, il cambiamento climatico, l’individualismo crescente, la mancanza di partecipazione, la difficoltà a incontrare i giovani, ma lì dentro c’è la possibilità di essere profeti di pace, di prendersi cura del Creato, di assumere la gioia di relazioni riuscite, di riconoscere ai giovani un ruolo di protagonismo, c’è tutta la potenza e la speranza di un cammino che si apre. Un’esperienza analoga, vissuta negli ultimi tempi qui in diocesi, mi pare sia la formazione dei Consigli, che abbiamo sentito come una “fatica gioiosa”, perché la partecipazione chiede impegno, ma poi dà calore. Il card. Zuppi parla di una “sobria ebbrezza”: non ci nascondiamo che i tempi sono difficili, ma c’è qualcosa che ci fa brillare gli occhi, superare le fatiche, che ci dice che non è insensato quello che stiamo facendo. E anche nella nostra diocesi vorrei, al di là dei singoli temi, che potessimo pensare che dovremo fare dei passaggi per camminare più leggeri, ma sentendo che è bello camminare insieme, superando lo sconforto, sapendo che fare fatica non è necessariamente un male, ma deve avere una prospettiva, e che questo diventasse uno stile di dialogare, di porre le questioni, per poi arrivare a una convergenza, a una comunione e, anche, a delle decisioni. E’ il cammino che tentiamo di fare con le Collaborazioni, e sono le due scelte del nostro percorso sinodale, la corresponsabilità e la fragilità; fragilità che viviamo anche nella nostra Chiesa, come il luogo dove il Buon Samaritano si prende cura di noi”.
Come prosegue, ora, il lavoro? C’è stata una prima restituzione ai partecipanti, domenica, con delle schede che verranno elaborate e discusse dal prossimo Consiglio permanente della Cei e confluiranno nello Strumento di lavoro della fase profetica che, poco dopo Natale verrà inviato alle diocesi. Queste, tramite gli organismi di rappresentanza, potranno rivederlo, elaborarlo, dare dei ritorni al Comitato perché, in primavera, la seconda Assemblea voterà le singole proposizioni, che poi verranno passate alla Conferenza generale della Cei di maggio: questa le approverà e diventeranno degli orientamenti per i prossimi anni della Chiesa italiana.