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Il gusto buono di vivere insieme: la lettera pastorale del vescovo Michele ci introduce al Giubileo

L’invito è a vivere il cammino del Giubileo come un ritorno all’essenziale, che non ci chiede di inventare cose nuove, quanto di ri-scoprire che il necessario per vivere ci è già donato nello Spirito santo, in termini di una vita buona e di relazioni fraterne da custodire e alimentare

Con lettera pastorale “Un anno di grazia del Signore», il vescovo di Treviso, Michele Tomasi, intende accompagnare il cammino ordinario delle comunità cristiane, già ricco di iniziative e impegnato nella fase profetica del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, durante l’anno del Giubileo voluto da papa Francesco, “Pellegrini di speranza”.

Il testo, che si divide in due parti, è accompagnato da un’introduzione che richiama il percorso fatto finora nella Chiesa di Treviso, ed evidenzia le motivazioni dell’inedito percorso biblico offerto nella prima parte del testo, “Giubileo biblico”.

Imitare l’agire di Dio nei confronti del suo popolo. L’intento della Lettera, a mio avviso, non è quello di offrire strumenti pastorali da ripetere o riprodurre nelle comunità, quanto sostenere una riflessione su come la qualità della vita cristiana nelle comunità, cioè il modo di essere annunciatori e testimoni del Vangelo di Gesù, non sia slegato dalle condizioni economiche e sociali in cui vivono i fratelli e le sorelle, e dalle forme concrete di sostegno sociale.

L’economia, le norme sociali, le forme di organizzazione di uno Stato, le prassi amministrative, la dignità di ogni uomo e donna, l’organizzazione del tempo tra feria e festa, non sono questioni a margine della vita spirituale, ma chiedono di essere pensate, verificate e assunte come appello a rendere visibile la cura di Dio per il suo popolo. “Il principio teologico di fondo è quello di imitare il modo di agire di Dio nei confronti del suo popolo: come Lui è ed agisce nei confronti del suo popolo, così i suoi membri debbono agire gli uni verso gli altri”.

In più parti del testo si ricorda come “la fede di Israele nel Signore Dio è stata determinante” nel favorire un’autentica fraternità e nel “cercare soluzioni ai problemi, come la crescente disuguaglianza tra i suoi membri”.

Uno stile virtuoso di vita comunitaria. Nella parte introduttiva è ribadita l’importanza dell’ascolto, che non va relegato a una fase della progettazione pastorale, ma è un atteggiamento permanente con il quale il discepolo “continua a interrogare le Scritture e le vicende della storia” per purificare il proprio sguardo e vedere la vita degli uomini e delle donne con gli occhi di Dio e da qui orientarsi nelle scelte di vita personali e comunitarie.

Restare docili in un permanente ascolto consente, non solo di “acquisire uno stile virtuoso di vita comunitaria per i cristiani e i concittadini”, ma favorisce l’incontro “con tutti i compagni di viaggio che non condividono la nostra stessa fede”.

La condizione per rimanere docile nell’ascolto è quella di coltivare una seria interiorità che dall’ascolto della Parola di Dio e della voce di fratelli e sorelle, conduce a “fare quello che a noi non è possibile”: entrare nel cuore di Dio e da lì accostare le esigenze di una vera fraternità.

Il Giubileo nella Bibbia. La prima parte della lettera presenta alcune pagine del Libro del Levitico e del Deuteronomio relative alla vita sociale e politica del popolo di Israele. Non troveremo, come avviene in genere nelle lettere pastorali, un’unica icona biblica, ma una rilettura di brani scelti nei quali emergono alcune indicazioni “a proposito della vita di Israele e delle misure economiche, sociali, religiose e politiche, indicate perché il popolo potesse vivere un’autentica fraternità, quotidiana e concreta”.

In un percorso originale e dal sapore sapienziale, la riflessione prende avvio dalle indicazioni che regolano i rapporti economici all’interno del popolo di Israele, segnati da un principio egualitario nella distribuzione della terra dopo la schiavitù. Ma le terre da coltivare, assegnate in modo uguale tra tutti, non erano identiche per produttività, le capacità personali erano diverse, vi erano, poi, le avversità naturali e i disagi familiari. Ecco, allora, riportate le norme per affrontare le situazioni di crisi del singolo e della famiglia: il diritto di riscatto, il prestito, il bracciante e lo schiavo.

A queste norme di sostegno del più debole, al popolo di Israele erano suggeriti “dei comportamenti che dovevano essere osservati da tutti i membri di Israele, perché tutti sono responsabili del buon funzionamento dell’economia, a intervalli di tempo regolare”, una specie di misura strutturale in vista di una società di liberi e uguali. Queste indicazioni legislative sono: il pagamento delle decime ogni tre anni, per ricordarsi che i frutti della terra sono dono di Dio e non solo opera dell’uomo; il riposo della terra, “manifestazione della fiducia del popolo nel Signore”; la remissione del debito ogni sette anni, per spalmare il costo della ripresa economica e della solidarietà sociale tra più soggetti.

Infine, dopo una «settimana di settimana di anni», ecco il Giubileo. Ogni 50 anni si doveva ripartire dall’inizio, cioè da una equa distribuzione delle risorse tra gli uomini, come all’origine aveva stabilito Dio. Questo evento giubilare, ricorda il vescovo Michele, “sancisce il principio che l’unico proprietario della terra non è colui al quale viene assegnata, ma Dio che la distribuisce per la vita del suo popolo”.

Storicamente queste norme sociali ed economiche non sono state totalmente applicate, e oggi possono apparire estranee in un sistema di economia globale con molteplici variabili. Tuttavia, sostare sulla “ratio” che le ha animate vuole essere “uno stimolo a pensare la nostra vita nella società, nel mondo della produzione e del consumo economico, le nostre relazioni di vicinanza e di cittadinanza, così come il rapporto con il creato, a partire dalla fede nell’opera di Dio nella nostra vita”.

Il quadro che emerge dalla lettura di questa singolare riflessione biblica è quello di una società organizzata, struttura, e articolata, nella quale le relazioni tra i suoi membri, animate da principi e valori condivisi, sono orientate nella fedeltà alla volontà di Dio, il quale, datore di ogni bene, non cerca altro che la felicità e la pacifica convivenza tra i fratelli e le sorelle.

Una rilettura per l’oggi

Nella seconda parte della Lettera troviamo delle possibili piste di attualizzazione dei principi esposti nei testi biblici, alla luce del Magistero sociale della Chiesa e delle provocazioni emerse durante la 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, tenuta a Trieste a luglio 2024.

Destinazione universale dei beni e principio di proprietà privata. Partendo dal testo di Levitico, «La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23), la Lettera afferma come questa norma non significhi abolizione del principio di proprietà privata, quanto inviti a maturare nella consapevolezza che ognuno ha la “responsabilità di gestire e di amministrare quanto possediamo e quanto siamo capaci di creare e produrre, come un contributo al bene comune”.

Come forestieri e ospiti presso di Lui. Citando alcune meditazioni spirituali offerte nella Settimana sociale a Trieste, la Lettera fa esplicito riferimento alla condizione spirituale dei cristiani: quella di essere “stranieri e pellegrini”, cioè non padroni del tempo e della terra, né delle persone, ma “ospiti di una casa che li accoglie, ma non gli appartiene”. Su questo punto è forte l’immagine del cristiano come “straniero con il permesso di soggiorno”, un permesso di soggiorno che abilita l’uomo a vivere nel mondo come un amministratore di un bene che appartiene al Signore e che va curato e condiviso in relazioni autentiche con tutti i fratelli e le sorelle.

Sussidiarietà e solidarietà. Puntuale, nel prosieguo delle Lettera, è il riferimento allo stretto rapporto, indicato nella Dottrina sociale della Chiesa, tra sussidiarietà e solidarietà. Dopo aver definito il principio di sussidiarietà come “un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi”, per cui una persona svolge tutti i compiti che le permettono di vivere autonomamente, e dove non ce la fa, qualcuno interviene a sostegno, il testo sottolinea che, senza la solidarietà, la sussidiarietà “scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno”.

La partecipazione di tutti. Insistente nei diversi punti del testo è la necessità di una partecipazione da parte di tutti a quanto il Signore offre in dono come terra, tempo, spazio, relazioni: nessuno può gioire da solo, nessuno può godere di un bene escludendo l’altro, nessuno può sentirsi parte di una Comunità e dare il suo contributo quando non si sente accolto da una rete di relazioni significative.

Anche la liturgia rende evidente questa partecipazione di tutti: “Per ritrovarsi insieme al cospetto del Signore, per ascoltare in modo grato e aperto al futuro la proclamazione della legge, per poter compiere insieme sacrifici graditi a Dio, è necessario che tutti possano realmente gioire, e abbiano risorse per festeggiare con altri in piena dignità”.

Un tempo di riposo per la terra e per le persone. La parte finale della Lettera, che si conclude con un riferimento alle comunità energetiche, è un invito a ripensare il rapporto con il tempo, in particolare ripartendo dal senso delle norme bibliche che prevedono un tempo di riposo per la terra. Il lungo riposo della terra, come emerge nelle Scritture, ha come fine quello di ritrovare il gusto di relazioni fiduciose, gratuite e disinteressate tra fratelli e sorelle, e in ultima istanza quello di godere di “relazioni basate sulla fiducia nella provvidenza divina”.

Dinanzi a ritmi di vita sempre più frenetici e a stimoli incalzanti nel mondo sociale, dove prevale l’ansia di “perdere tempo”, il Vescovo esorta, nell’Anno giubilare, a “prendersi il tempo” per riscoprire il senso e la bellezza di una vita da vivere insieme, in cui prendersi cura gli uni degli altri: “Per lavorare insieme dobbiamo trovare il gusto di vivere insieme”.

Noi, la terra e il creato. L’esortazione, nella parte conclusiva della Lettera, è quella di prendersi il tempo per ascoltare, altresì, “il sospiro della terra, di tutto il creato”. In questa sezione sono indicati alcuni atteggiamenti molto pratici: “prenderci il tempo per tornare a riflettere, a informarci, a studiare, e cercare di riflettere su dati e conoscenze”.

Nelle battute conclusive del testo, il Vescovo ricorda come “obiettivo importante della legislazione del Giubileo è quello di far sopportare a tutti i costi della fraternità e della solidarietà”. Esempio concreto è quello delle Comunità energetiche rinnovabili, di cui la nostra Diocesi si è fatta promotrice.

“Un anno di grazia del Signore”: rileggendo più volte il testo, a me pare che l’invito del vescovo Michele sia quello di vivere il cammino del Giubileo come un ritorno all’essenziale, che non ci chiede di inventare cose nuove o di intensificare iniziative, quanto di ri-scoprire che il necessario per vivere ci è già donato nello Spirito Santo, in termini di una vita buona e di relazioni autenticamente fraterne da custodire e alimentare.

* presidente diocesano di Azione cattolica

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