Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Al Jamboree l’essenza dell’essere scout
Lo scorso agosto si è tenuto in Corea del Sud il 25° World Scout Jamboree. Si tratta dell’esperienza scout internazionale per antonomasia organizzata da Wosm, l’Organizzazione mondiale del Movimento Scout che si tiene ogni 4 anni, e che vede l’incontro fra gli scout convergenti da tutto il mondo in un unico luogo. Oltre 50.000 persone si amalgamano in una “marmellata” (da qui la parola Jamboree) e condividono cultura, esperienza e amicizia, mettendo in pratica una concreta fraternità internazionale e cittadinanza globale.
Il motto dell’incontro è stato “Draw your dream” (“Disegna il tuo sogno”). Decine di migliaia di ragazze e ragazzi tra i 14 e i 17 anni e i loro capi di 170 Paesi hanno svolto, nonostante alcuni disagi dovuti al maltempo, diversi tipi di attività nei 12 giorni di permanenza.
Tra i 1.200 scout italiani, anche un nutrito gruppo dalle varie zone della nostra diocesi che ha vissuto un’esperienza straordinaria, come raccontano: “Una delle esperienze più belle della mia vita - dice Andrea -. Ero partito senza aspettative, e in 2 settimane ho vissuto tutte le emozioni che una persona può provare: gioia, stupore, felicità, gratitudine, paura, rabbia, tristezza, malinconia. Al di là di tutte le persone incontrate e le esperienze vissute, credo di aver compreso ancora meglio il significato del motto scout: «Estote parati». Essere pronti non vuol dire essere preparati, nessuno lo era per tutti gli imprevisti che ci sono stati, ma significa essere pronti a qualsiasi cosa possa accadere, adattandosi alle circostanze, e a sorridere anche nei momenti più difficili. Ho capito che per me questa è l’essenza dello scautismo”.
“Parlando con i ragazzi degli altri Paesi ho potuto conoscere le loro abitudini, le loro tradizioni, i loro cibi e tanto altro - racconta Alice -. Nel significato del Jamboree c’è il volersi aprire agli altri e a differenti modi di pensare, per allargare il proprio sguardo, far crescere l’armonia e ampliare la cultura di Pace ed è quello che noi ambasciatori portiamo a casa”.
“Un’esperienza indimenticabile” per Gemma, che ha “vissuto con tutti una bellissima avventura che conserverò per sempre. Le notizie che erano dappertutto le abbiamo sorpassate insieme lasciando spazio a scambi culturali, sensazioni, parole, camminate, attività”.
“Distintivi, fazzolettoni, l’occorrente per un campo: non erano quelle le componenti che ci dovevamo portare dietro - racconta Mattia -. Erano la voglia di fare, la pazienza, la curiosità, la voglia di scoprire e la perseveranza nell’andare avanti nonostante le difficoltà. Perché ne abbiamo sopportate tante... Potrei iniziare a raccontarle e non fermarmi più, ma l’avventura è stata anche piena di bellezza: ho conosciuto persone che hanno una diversa religione, una diversa lingua e colore della pelle, abitudini spesso diversissime dalle mie, con le quali non avevo molto in comune, se non il fatto di essere scout. Questo era l’importante e l’ho capito solo dopo, ripensando al fatto che in quel campo di 50 mila persone io mi sentivo a casa. Lo scautismo aveva legato me e quelle persone ancora prima che ci conoscessimo. Non è scontato sentirsi a casa dall’altra parte del mondo e in mezzo a sconosciuti. Ho capito perché Baden Powell ha voluto fare il primo Jamboree, per dimostrare cosa fosse in grado di fare lo scautismo nelle persone, legandole con un nodo invisibile e rendendoci una famiglia gigantesca”.