sabato, 23 novembre 2024
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Viaggio al confine polacco

Il reportage dal confine tra Polonia e Bielorussia, con i privati e le associazioni che provano a portare soccorso e ad accogliere i migranti. Tra le manipolazioni della politica, in particolare dei gruppi di destra, una minoranza di cattolici cerca di far sentire la propria voce

E’ ancora penombra e il cielo è grigio, quando, all’incrocio con due trafficatissime strade della moderna Varsavia, incontro Rut Kurkiewicz-Grocholska, conosciuta e combattiva giornalista polacca free lance, che da agosto fino a novembre 2021, ha percorso per settimane i confini della foresta polacco-bielorussa, raccogliendo testimonianze, voci degli immigrati siriani, iracheni, afghani, yemeniti, ma anche congolesi e senegalesi che sono caduti nella “trappola” del confine polacco-bielorusso, del ben noto presidente della Bielorussia, Lukashenko.

Salgo nella sua auto, il tentativo è di raggiungere Bialystok (2 ore e 56 minuti), cittadina di confine, a ridosso di una delle più antiche foreste europee. Ruth ha tentato, questa volta, di chiedere un permesso al Ministero degli Interni, senza risposta. Anzi, mi ripete ciò che poi mi verrà confermato da tutti gli attivisti di Grupa Granica. Grupa Granica-Gruppo di Confine è un movimento della società civile che si oppone alla brutalità con cui le autorità polacche agiscono nei confronti dell’immigrazione ed è composto da un crescente gruppo di associati, da attivisti per i diritti umani e anche da residenti ai confini. “Sin dal 2 settembre, a causa dello stato di emergenza introdotto in 115 cittadine nella regione di Podaskie e 68 nella regione di Lubeskie, alla zona rossa nessuno può avvicinarsi soprattutto giornalisti!”.

Rut continua senza sosta a parlare, guidare, telefonare ai contatti di Grupa Granica, che, nonostante tutto, sono ancora appostati da Kuznica a Bialowieza, attivisti che monitorano la lunga linea di confine. Nonostante gli interventi della Corte europea dei diritti umani, il 26 ottobre 2021 il Parlamento polacco ha approvato la “legge di espulsione” degli immigrati illegali. E mi ripete Rut: “Solo se vi è qualcuno presente, quando una famiglia, una donna, un giovane vengono presi stremati dalla guardia di frontiera polacca o esercito, questi si vedono costretti a consegnare e a far compilare il formulario per la richiesta d’asilo, altrimenti tutti vengono respinti”. Un andare e ri-venire verso il “muro della foresta” e, ora, verso grandi rotoli di filo spinato! L’esercito c’è! Lunghe file di camionette ci sorpassano ed elicotteri volano sopra la testa. Non tutto fila liscio! A Ostrow Mazowiecka, l’auto viene fermata da una pattuglia della polizia, Rut viene riconosciuta nel suo lavoro dai documenti richiesti, e non si va avanti. Discussione, rispetto dei diritti e della libertà di stampa, rabbia , niente da fare, torniamo indietro.

Ma ancor più lacrime, rabbia e frustrazioni esplodono quando la mia amica mi pone le questioni che chi accoglie si porrebbe: “Perché questi giovani , donne e uomini come noi hanno questo destino? Anche noi attivisti non sappiamo e forse, per essere onesti, non vogliamo sapere. Noi siamo solo concentrati nel salvare la loro vita nella foresta, dare aiuto umanitario in emergenza. Ma come dice il mio amico fotografo e giornalista Karol Grygoruk, «Mettiamo solo un cerotto su un’enorme ferita aperta». E siamo tutti impauriti anche se non facciamo nulla di illegale”. Rientrata a Varsavia, mi metto subito in contatto con Sarian Jarosz, responsabile ufficio di Amnesty International, che mi conferma che il 10 novembre 2021 Grupa Granica ha presentato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja una richiesta di accusa per deportazione illegale e rifiuto di asilo da parte di rappresentanti dei governi bielorussi e polacchi.

Amnesty polacca ha già presentato un report sulla criminalizzazione degli attivisti dei diritti umani che lavorano al confine. Su di loro spargono scintille gruppi di governo di estrema destra che hanno poi agitato giovani che con la croce in mano sono andati a distruggere, il 14 novembre, le auto dei Medici senza Frontiera. Incontro Iwo Los, ricercatore in Sociologia che ha sospeso gli studi per diventare il portavoce di Grupa Granica e che ha alle spalle un lungo servizio con i profughi siriani nei campi in Grecia.

“In settembre/ottobre nel momento del picco della crisi (soccorse almeno tremila persone intrappolate nella foresta tra cui cento bambini , in 113 interventi), se da un lato vi è stata una grande manipolazione politica delle paure della gente, dall’altro lato molti abitanti della zona hanno iniziato a vedere le persone immigrate in volto e a reagire offrendo loro anche la casa, con la consapevolezza che sarebbero state denunciate… Ma la campagna della luce verde alla finestra, lanciata dall’avv. Kamil Syller, per dire ti accolgo, è andata avanti”. Mi conferma Iwo nel suo analitico, europeista intervento, che “può essere vero che i polacchi hanno avuto più paura di questi migranti perché provenienti dalla parte russa (storicamente hanno ancora troppe ferite di occupazione sovietica, ndr), ma una parte della nuova generazione polacca si sente europea e chiede un nuovo approccio di sicurezza alle frontiere esterne e non muri. Ma anche una parte dei cristiani cattolici, ancora purtroppo minoranza, come ad esempio i Klub Inteligencji Katolickiej (KIK), si è organizzata per aiutare e accogliere.

Viaggiando, senza alcun confine, verso l’Italia, mi ritorna in mente il racconto di Iwo: “Quando ho incontrato i giovani nella foresta, ho capito che potevano essere i miei amici, indossavano gli stessi jeans , fumavano le stesse sigarette, utilizzavano i social come me, avevano i miei stessi sogni”.

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