mercoledì, 20 novembre 2024
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Ucraina, reportage da Leopoli

"Chi ci difende?". La cronaca del viaggio, il racconto dell'instancabile attività dei salesiani con i rifugiati e le voci della popolazione

Mi avvicino a Lviv, o Leopoli, in italiano, dopo ore e ore di coda al confine polacco. Mi racconterà, poi, padre Mickhal Chaban, superiore dei salesiani in Ucraina, che nel febbraio 2022, allo scoppio della guerra, ogni giorno si formavano code verso la Polonia di 80 chilometri, che arrivavano fino a Lviv. Dopo una vasta zona industriale, che ora sembra “in sospeso”, ecco intravedersi la vecchia città, dichiarata patrimonio dell’Unesco, con la cupola della cattedrale di San Giorgio. Città fondata nel 1256, da sempre multietnica e passaggio di mercanti, russi, armeni, georgiani, svedesi, italiani, ebrei (100 mila, fatti completamente scomparire dai tedeschi durante i progrom della II Guerra mondiale), teatro di continui conflitti.

Nella “cittadella” salesiana
Oggi conta quasi un milione di abitanti e mi sorprende la vastità della città moderna, mentre mi dirigo verso Mariupolis, il campo di rifugiati gestito dai salesiani. Mille famiglie, soprattutto madri, bambini e anziani, che vivono in container addossati a palazzi modernissimi. “Qui viviamo nella sicurezza - dice Svetlana, di Lugansk (Donbass) -, anche se vi è il desiderio di ritornare nella nostra città”. Qui i salesiani hanno costruito immediatamente una chiesa e un oratorio per i giovani. Ma nei vialetti passeggiano molte coppie di anziani, ben vestiti perché nel momento in cui sono lì, è la Domenica delle Palme, iniziano i riti della Settimana Santa, per chi è di religione cristiana greco-cattolica o ortodossa. La grande chiesa in collina, a pochi minuti di tram dal centro storico, è della parrocchia di Pokrova costruita nel 1991 dai salesiani, al loro rientro in Ucraina, dopo il comunismo. Lì mi ritrovo ad assistere al rito delle Palme per due ore e mezza, tra migliaia di fedeli stretti l’uno all’altro, in piedi. Si prega, ma si ha la guerra nel cuore e nella vita quotidiana.

Il diritto alla difesa
“Chi pensa a difenderci e a difendere la nostra famiglia, i nostri figli, i nostri vicini dall’aggressione di un nemico?”, pacatamente mi chiede, poco dopo, padre Mykhaylo Chaban, superiore dei salesiani in Ucraina, che continua: “Il regime russo noi lo conosciamo bene. Il 95% dei nostri giovani vuole vivere in libertà, democrazia, in zone con valori europei. Per chi non conosce la situazione del popolo ucraino, è facile dire: perché non provate una trattativa? Ma gli orrori, le violenze di chi ci ha aggredito, non ci fanno pensare al perdono, ora”. Con fatica, e lasciando lunghi spazi di silenzio, aggiunge: “Il male che fa la Russia è stragrande, ma si dovrà parlare del perdono quando sarà tutto finito. Farlo ora, quando una madre perde il figlio, è una cosa molto pesante, difficile pensare a qualcosa di futuro, non si vede la fine di questa guerra”.
Saliamo le scale per raggiungere lo “spazio piccoli” della “casa rifugio”, dove ora trovano accoglienza 70 orfani e a lui si avvicinano due fratellini, la cui madre è stata uccisa a Mariupol. Alla questione angosciante che padre Mykhaylo mi pone ancora, “Chi li difende?”, non posso che opporre silenzio. Penso alla storia di questo religioso. Il padre era un prete greco-cattolico, che durante il comunismo praticava la religione in casa, e appena ha potuto ha scelto la strada salesiana, studiando tra Polonia e Italia, rientrando nel 2004 in Ucraina, per dedicarsi ai giovani, costruendo per loro a Leopoli, come famiglia salesiana, un liceo, una scuola professionale, oratori e strutture sportive.
Il responsabile della scuola professionale è don Andry Bodnan, aperto quarantenne che ha studiato in Italia e che, come tutti coloro che ho incontrato finora, mi interpella chiedendomi: “Se nella sua casa entra qualcuno e dice «questa casa d’ora in poi sarà la mia», che trattative volete avere? Certamente, gli si dice devi uscire e poi ne parliamo. Dobbiamo fermare l’imperialismo russo, che non ha fatto avanzare nessun Paese, nemmeno il suo popolo. Nonostante tutto, certo con politici deboli, che hanno indebolito il nostro Paese, l’orientamento degli ucraini è quello di uscire dalla mentalità post sovietica e trovare nuove strade. Perciò, noi tendiamo verso la democrazia europea, con tutte le debolezze, verso la democrazia dei diritti umani. Certo, la trattativa sarebbe la strategia migliore, ma con questo regime guidato da un pazzo, non vi sono i presupposti, la Russia dovrà togliere le truppe dalla nostra terra, perché la ferite si stanno allargando così come il male che colpisce gli innocenti”.

Le voci dei giovani
Guardiamo le squadre di giovani che giocano a calcio e don Andry mi indica gli spazi sotterranei, dove portarsi in caso di sirena d’allarme, perché dalle 8 di sera alle 5 di mattina la città è sotto coprifuoco. Le voci degli adolescenti e giovani che incontro, si uniscono in un solo ritornello: “Dobbiamo difenderci dall’aggressione russa, vinceremo”. Sono moltissimi i giovani che partono come volontari, ma mi rimane addosso lo sguardo malinconico, dolce non aggressivo, del ventenne Yaroslov, che da Zaporizhzhia ha viaggiato in treno tutta la notte per arrivare nella chiesa di Pokrova e chiedere denaro ai fedeli, per comperare droni in vista delle battaglie notturne. Ruznan viene, invece, da Sloviansk (Donbass) e dal maggio del 2022 si è trasferito a Lviv, dove studia turismo. Attende ad agosto il 18° anno di età e certo ha paura, “ma ho preso la mia decisione e mi arruolerò. Certo non giudico chi non si arruola, ma, terminata la guerra, che cosa dirà alla sua famiglia e ai suoi amici?”. Se dovesse inviare un messaggio ai giovani italiani? “State attenti, perché oggi questa è la nostra guerra, ma potrebbe diventare la vostra”. E se dovesse incontrare un giovane russo, come lui? “La prima domanda che farei è: sei con Putin o contro Putin?”.
Nella piazza principale della città, mi incontro con Maksym, e il suo operatore, giovane giornalista della tv locale Nta: “In Italia sulla guerra non date le notizie corrette, noi siamo stati aggrediti e dobbiamo difendere la nostra terra e abbiamo bisogno di supporto militare. Ora che sei stata sul terreno e hai visto la situazione, scrivilo!”. La tentazione, mentre percorro la strada del rientro, segnata da grandi cartelloni che chiamano i giovani all’arruolamento, è il silenzio. Mi vengono a mente, nelle 7 ore di coda al confine polacco, le parole per la Giornata mondiale dei poveri, nel novembre 2022, di papa Francesco: “Mentre vedi attorno a te fatti sconvolgenti, mentre si sollevano guerre e conflitti, mentre accadono terremoti, carestie e pestilenze, tu che cosa fai, io che cosa faccio? Ti distrai per non pensarci? Ti diverti per non farti coinvolgere? Prendi la strada della mondanità, di non prendere in mano, non prendere a cuore queste situazioni drammatiche? Ti giri dall’altra parte, per non vedere? Ti adegui, remissivo e rassegnato, a quello che capita? Oppure queste situazioni diventano occasioni per testimoniare il Vangelo?”.

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