martedì, 17 settembre 2024
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Reportage: Nell'isola dell'indifferenza

Il racconto dal principale e tradizionale molo di sbarco dei migranti a Lampedusa. Arrivati a migliaia in quest’estate. Ma invisibili per gran parte della popolazione e dei turisti. Con alcune eccezioni...

“La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, in una situazione che porta all’indifferenza verso gli altri. Di più, oggi c’è una globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro”. Sono parole pronunciate l’8 luglio 2013 da papa Francesco, durante l’omelia allo stadio di Lampedusa.

La vera invasione è quella dei turisti
Luglio 2021, l’indifferenza non è cambiata. Anzi, quando scendi a Lampedusa dal traghetto che la raggiunge dopo 9 ore da Porto Empedocle, non vedi uno straniero, immigrato, extracomunitario, clandestino (il linguaggio mediatico-politico ci ha abituato a questa spersonalizzazione) in giro. La vera invasione di Lampedusa viene oggi dal piccolo aeroporto, che accoglie 10-15 voli di piccoli aerei dai quali scendono solo turisti. Questa scheggia di pietra d’Africa, che si è rifiutata di lasciare vuoto il mare, si è votata al turismo: seimila abitanti, cinque-seimila posti letto dichiarati, più del doppio con il nero, cinquanta-sessantamila turisti all’anno.
Via Roma, ora stracarica di turisti ignari che tentano lo struscio con slalom tra motorini e “Mehari”, taglia in due il paese e, puntando diritta verso il mare si interrompe al fondo, dopo bar, ristoranti strapieni, negozi di souvenir, in una terrazza. Qui c’è l’Archivio Storico Lampedusa. Antiche carte, antiche foto, pannelli sulla storia dell’isola e video, ma soprattutto c’è Nino, che della storia di Lampedusa ha fatto la sua vita.

La Lampedusa che accoglie e il molo di Favaloro
Uomo curioso, colto, fa parte di quella piccola minoranza del “forum lampedusano dell’accoglienza”. “Isola di passaggio, di sosta, di salvezze. Questa è sempre stata Lampedusa - sottolinea -. Povera fino alla fine degli anni ‘90, poi è arrivato il turismo di massa, alla romagnola. Questo ha fatto sì che tutti si trasformassero da pescatori a imprenditori, arricchendosi, ma è troppo! Immondizie, rumore, approvvigionamento d’acqua, tutto pesa. Ma i migranti che giorno e notte sbarcano al molo Favaloro ora «non pesano» perché, responsabile anche il Covid, sono gli «invisibili»! E’ cosi che li vogliamo tutti!”.
Il molo Favaloro, in pieno centro, ora accessibile solo alla Guardia costiera, Polizia, Carabinieri, Esercito, pratica l’“accoglienza militarizzata”, così come viene chiamata dopo gli accordi con la Libia del 2017. E’ ora accessibile a chi, del forum dell’accoglienza, ha ricevuto l’accredito: suor Barbara, suor Paola, i volontari di Mediterranean Hope, di Caritas. Queste persone entrano e, a chi arriva esausto, offrono una bottiglia d’acqua e un sorriso, perché, per chi arriva, un sorriso conta tanto. Suor Barbara e Marta, di Mediterranean Hope, con piglio sicuro, di chi sa il fatto suo, senza perdere la tenerezza, mi dicono: “Mediterranean Hope è un progetto delle chiese evangeliche, che hanno sempre avuto interesse verso gli ultimi e dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, hanno detto basta. Da maggio 2014 qui a Lampedusa esiste un osservatorio sulle migrazioni che porta avanti progetti come quello attuale sulla memoria”.

“Pellegrinaggio” al cimitero
In un bollente pomeriggio mi porto con Marta al cimitero lampedusano. Dalle carrette raccolte in mare spesso arrivano anche corpi di chi non ce l’ha fatta e allora si cerca di dare un nome, spesso con l’aiuto di chi era assieme, e se ci si riesce, dove si interra il corpo in cimitero si pone una cornicetta blu mare con la scritta, per esempio, “Pare si chiamasse Eze o Ezequiel Chidi, nato in Nigeria. E’ stato ritrovato senza vita in una imbarcazione a bordo della quale tentava di raggiungere l’Europa”. Quante storie in questi sbarchi! Sbarco parola che fa pensare nemici, eserciti, ma qui la gente arriva, approda, naufraga, non sbarca.
Incontro uno per uno i membri della minoranza lampedusana uniti nel “forum di Lampedusa solidale”. Hanno iniziato a incontrarsi dal 2009, quando il fenomeno degli arrivi iniziava a farsi corposo, e a riflettere su che cosa stava accadendo. “Ci troviamo - mi dice Paola siciliana transfuga a Lampedusa da Palermo, ma sempre “la straniera” -, ogni volta che il sistema non regge e parte della popolazione viene chiamata a gestire l’emergenza”.
Dal 2016, quando la maggior parte dei migranti viene recuperata in alto mare, è a loro concesso di accedere al molo Favaloro. “Quando giunge la notizia di un arrivo, è un attimo, un veloce giro di telefonate e tutti si ritrovano al molo con bottiglie d’acqua, thermos di thè caldo. Per più volte, di giorno e di notte, un avviso di suor Barbara, delle piccole sorelle di Foucault, 50 anni in Algeria, mi ha fatto correre al molo”.

I quotidiani sbarchi
3 agosto, ore 19, solito avviso, è il secondo arrivo del giorno: prima 150 portati dalla guardia costiera, ora una barca da sola, scortata, sembra dirigersi al molo, ma poi le onde la sospingono a uno scoglio più a monte. Sono le 20.30, è già buio, la polizia illumina con i fari lo scoglio, si crea una passerella provvisoria, scendono in 70 con tre famiglie con bimbi piccoli. Giovani, giovanissimi con ciabatte infradito, zainetto, sono “misti” mi dice l’ispettore, sudanesi, eritrei, siriani, ma molti giovanissimi tunisini. Fatti sedere tutti a terra, ascoltano ed eseguono gli ordini. Occhi stanchi e impauriti, ascoltano suor Barbara che infaticabile li avvicina uno a uno parlando in arabo.
Tampone, e subito vengono sospinti nei pulmini della Nova Facility, con la scritta via Selvana 31100 Treviso, vengono anche questi inghiottiti dal buio e portati nell’hotspot, chiuso in una piccola vallata più a monte, circondato dai militari, dove ce ne sono già 1.400, oppure portati nella nave Gnv che staziona alla rada, per la quarantena. Lì ce ne sono altri 300. Alle prime luci dell’alba seguirà un altro arrivo, mentre barche, barchini stracolmi di turisti partono e passano con musica ad alto volume; forse qualcuno guarda, ma l’indifferenza regna sovrana.

La testimonianza del parroco
Incontro don Carmelo La Magra, giovane parroco dell’isola da 5 anni. Siciliano, di poche parole, dietro la sua barba rossa, mentre risponde alle mie domande, dimostra, come d’altra parte hanno fatto Pilla, Costantino, Lillo, componenti della Caritas, di vivere il Vangelo di Matteo “Ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito”, nella sua radicalità. “Io penso - sottolinea con forza dalla stanza della canonica dell’unica chiesa dell’isola, intitolata a san Calogero, che era tunisino, e a san Gerlando, che era di Besancon - che ciò che possiamo fare è pensare alla vita delle persone, metterci accanto, fare delle cose assieme. Un vizio di noi credenti, praticanti, è di essere buoni nell’aiutare gli altri con l’elemosina, ma di non essere pienamente fratelli, mettendoci accanto, anche senza soluzioni precise, ai bisogni degli altri, cambiando il punto di vista”.

La minoranza e l’indifferenza si incrociano al confine dell’Europa
Lampedusa è sì il confine più a Sud di un’Europa sempre più volta a Nord, di un’Italia sempre più indifferente e senza memoria, ma è anche lo spazio di una parrocchia dove il cristiano, il valdese, il laico, si ritrovano, in piccola minoranza, per dare una primissima accoglienza ai giornalieri naufraghi del sud del mondo. Da luglio ad agosto 2021 ne sono sbarcati 2.568 e in questi giorni e notti il flusso continua nell’indifferenza, aggiungendosi all’ingrossarsi, causa crollo dell’Afghanistan, del fiume migratorio della via dei Balcani. Ma il fiume oggi sfocia tra persone il cui orizzonte si fa sempre più ristretto, il domani oscuro, tra gente sempre più insicura, impaurita, indifferente.

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