sabato, 14 settembre 2024
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Marika e Ivan, quattro giorni a Rigopiano con il cuore in gola

Ivan Da Rios e Marika Freschi, marito e moglie, residenti a Cimadolmo, del Cai di San Polo di Piave, entrambi tra i volontari del Soccorso Alpino, sono accorsi all’hotel subito dopo la valanga. Da giovedì a domenica hanno scavato alla ricerca delle persone rimaste sepolte.

Un’esperienza faticosa, rischiosa, indimenticabile nel bene come nel male.
E’ quella che hanno vissuto Ivan Da Rios e Marika Freschi, marito e moglie, residenti a Cimadolmo, del Cai di San Polo di Piave, entrambi tra i volontari del Soccorso Alpino che sono accorsi all’hotel Rigopiano subito dopo la valanga. Per quattro giorni dal giovedì alla domenica, hanno scavato alla ricerca delle persone rimaste sepolte.
A distanza di qualche giorno, quando l’apprensione e l’interesse intorno all’hotel Rigopiano, in Abruzzo, sono passati, abbiamo parlato dell’evento con Marika, tenace al punto da essere soprannominata “The boss”, che insieme a Ivan, gestisce il rifugio Pordenone, nell’alta val Cimoliana. E da undici anni fanno parte del Soccorso Alpino Dolomiti Bellunesi, stazione delle Prealpi trevigiane.
Marika, quale impressione quando siete arrivati all’hotel Rigopiano?
Quando siamo arrivati, giovedì pomeriggio, eravamo in mezzo a una bufera e non si vedeva altro che neve, pur sapendo che lì c’era l’hotel... La valanga aveva fatto tabula rasa. Inoltre il sito non era ancora messo in sicurezza e c’era il pericolo di altre valanghe.
Quali sono stati i momenti più brutti?
Oltre all’arrivo l’altro momento brutto è stato quando, sempre giovedì intorno all’una notte, proprio per il pericolo valanghe abbiamo dovuto abbandonare tutti l’area. E abbiamo potuto tornare solo alle 6 del giorno dopo, il venerdì, quando abbiamo trovato i primi superstiti.
Che effetto facevano quei ritrovamenti?
All’inizio un effetto bellissimo. Ci dava la carica, perché dimostravano che quel che stavamo facendo andava a buon fine. E così davi anche di più di quel che potevi dare. Nei giorni successivi un po’ meno, perché diminuivano le possibilità di trovare altre persone vive.
Qual era il compito di voi del Soccorso Alpino?
Noi scavavamo la neve, liberando con la nostra pala di servizio il più possibile dal materiale, e sondavamo per capire cosa ci poteva essere sotto, mentre i cani annusavano per capire dove potevano esserci persone. Nelle prime ore si sentivano le voci di bambini, di persone che chiedevano aiuto e quindi si cercava di arrivare prima possibile dove si trovavano, ma non c’era solo neve, c’erano detriti, pezzi di muro, non era affatto facile.
Un’esperienza impegnativa insomma…
Sì, ma ce l’abbiamo messa tutta; scendevamo a tarda sera per tornare presto la mattina. Si dormivano 3-4 ore per notte. E’ stata una situazione incredibile, inimmaginabile! Io ero intervenuta anche a L’Aquila dopo il terremoto del 2009, ma era stata una situazione del tutto diversa.
La domanda che si fanno in tanti: si poteva fare di più nel portare soccorso al Rigopiano?
No, non penso proprio che si potesse fare di più. E’ stato fatto tutto ciò che era umanamente possibile. Abbiamo scavato a mano in una massa enorme di neve e detriti e non si potevano usare mezzi perché si rischiava di far male ad eventuali sopravvissuti. Nell’area operavano in tanti: 80-100 persone alla volta, con volontari e addetti oltre che del Soccorso Alpino, dei Vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza, dell’Esercito. Non avrebbe avuto senso concentrarsi in tanti altri là, mentre in altri luoghi della zona era almeno altrettanto necessario.
Questa esperienza potrà essere utile per organizzare gli interventi in simili situazioni?
Spero che cose simili non capitino più… Ma visto come va il clima, penso che chi di dovere prenderà spunto per migliorare se si dovessero presentare altre situazioni del genere.
Riguardo alle perplessità sulla collocazione dell’hotel in quel punto, tu che idea ti sei fatta?
Beh, guardando così il posto… ci sarei andata anch’io a passare due-tre giorni di vacanza. Perché dietro c’era una bella faggeta. E’ vero che si vede un canalone, ma era difficile immaginare una cosa del genere. Scavando nell’albergo abbiano trovato faggi davvero grandi che son venuti giù… E se erano così grandi vuol dire che erano lì da tanti anni.
Dopo questa esperienza cambia il vostro rapporto con la montagna? Fa un po’ più paura?
No, assolutamente no. Per noi non cambia nulla. Tanto che già domani abbiamo in programma di fare cascate (arrampicata su ghiaccio, ndr). Se accade qualcosa in montagna non è colpa della montagna; alla base c’è sempre un errore umano, di valutazione. La montagna va conosciuta e rispettata in ogni caso. Quando si va in montagna ci vogliono sempre prudenza e buon senso.
Non sono molte le donne nel Soccorso Alpino…
E’ vero, siamo pochissime, forse perché è necessaria una disponibilità immediata che magari le donne non sempre hanno, per l’impegno con i figli, la famiglia, la casa. All’Hotel Rigopiano tra quelli del Soccorso ero l’unica, oltre a due medici donna.
Voi del Soccorso Alpino rischiate la vita per salvare quella degli altri. Non dev’essere facile…
Quando sei lì non pensi a te ma a salvare l’altro che ha bisogno del tuo aiuto. Magari dopo, quando torni a casa, ci pensi. Va detto che comunque il rischio non si può mai calcolare al 100%. E quando arriva la chiamata, prendi lo zaino e vai. Chi è nel Soccorso Alpino ha quell’idea di partire per salvare chi è in pericolo. E se non ce l’hai non fai soccorso alpino.

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