martedì, 19 novembre 2024
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Mafie, don Ciotti: “No all’indifferenza”

La cultura tra i pilastri della prevenzione

“Sono nato in Veneto”. Così ha cominciato don Luigi Ciotti. “Poi a cinque anni la mia famiglia si è trasferita a Torino. Proprio là, quando avevo vent’anni, nasce il gruppo Abele. Il mio impegno contro le dipendenze mi portò a incontrare a Gorizia, un corso della Polizia di Stato, Giovanni Falcone. Ci demmo un appuntamento per un caffè, a Roma. Ebbene, quel caffè non lo bevemmo mai assieme, fu straziato due mesi dopo dalla mafia. 57 giorni dopo ero a Palermo a raccogliere con un coordinamento, Libera, tutte le associazioni impegnate contro la mafia”.

Per don Ciotti non è una sorpresa parlare di mafia in Veneto, e ha citato don Sturzo che ebbe a dire “la mafia ha i piedi in Sicilia, ma la testa a Roma e risalirà verso nord”. “Oggi Libera è presente anche in Europa, Africa e America. Esorto a fare nostro l’input del procuratore Cherchi: dall’edilizia ai rifiuti, al terzo settore la mafia si sta radicando. Il primo antidoto è la sacralità delle Istituzioni, della polizia, della magistratura, anche della politica; capita che qualcuno non ne sia degno, ma non si devono fare generalizzazioni e le Istituzioni devono essere rispettate”. Questo compito spetta principalmente ai cittadini. Il pericolo più grande, oggi, è l’indifferenza.

“Attenzione - dice don Ciotti -, la mafia ha la capacità di rigenerarsi, la mafia che conosciamo è sempre la penultima, dobbiamo collaborare con le Istituzioni, essere sempre una spina nel fianco delle mafie”. I pilastri della prevenzione? In primo luogo, la cultura: estirpare il male è una sfida educativa, che non spetta solo alla scuola, ma la “città” deve diventare educativa. “La conoscenza fa scattare la consapevolezza e ti fa assumere delle responsabilità”.

Don Ciotti ha parlato di “risposta meticcia”, oltre la scuola, lo sport, l’oratorio, le associazioni, il teatro, il cinema, la danza: tutto porta un contributo. “Anche per le professioni non voglio sentire parlare di etica della professione, ma di professione etica”.

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Altri pilastri della prevenzione sono le politiche sociali, la lotta al lavoro precario, al lavoro schiavo, al lavoro nero. Uno straordinario passo in avanti fu fatto con la confisca di beni ai mafiosi e il loro riuso sociale. “Fu uno schiaffo alla mafia e oggi quei patrimoni generano ricchezza per chi è povero, per chi è emarginato, per chi non ha lavoro”. Le ultime parole sono state dedicate alle nuove tecnologie che devono essere presidiate. ’Ndrangheta, Camorra, Cosa nostra si sono messe assieme creando agenzie di servizi per il riciclaggio del denaro, trovando delle solide cerniere con i professionisti, facendo saltare il denaro dall’illegalità alla legalità.

Continua don Ciotti: “Non dobbiamo lasciare solo chi si è messo in gioco, oggi fondamentale è sostenere le donne che lasciano la mafia e che per essere protette devono avere la possibilità del «cambio anagrafico». Altra emergenza è recuperare i 350 milioni di euro che dal Pnrr dovevano transitare verso il rilancio dei beni confiscati, e che invece sono stati stornati dal Governo”.

Le parole di don Ciotti hanno trovato illustrazione e conferma nella vicenda di Tiberio Bentivoglio che ha pagato con incendi, furti, debiti, soprusi e addirittura il ferimento con sei proiettili la decisione di non pagare il pizzo, nel marzo del 1992. Trent’anni di resistenza che Bentivoglio ha portato avanti con la moglie, a fianco di Libera. “Sei procedimenti penali e alla fine sono stato riconosciuto parte offesa. Ciò non ha impedito, però, allo Stato di ipotecare la casa, perché non avevo pagato le tasse sulla merce che la mafia mi aveva bruciato. Oggi il mio negozio è stato riaperto, si trova dentro un bene sottratto alla mafia. Alla bruttezza è succeduta la bellezza. Il mafioso che ora esce dal carcere, scontata la pena, è furioso, perché Tiberio non solo non ha pagato il pizzo, ma lo ha anche mandato in galera e ora si è preso purenche la mia casa”.

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