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Mafia in Veneto, odore di bruciato

Numerosi nella Marca gli incendi a capannoni e centri rifiuti nell’ultimo anno. Le indagini sono in corso. Ma non mancano segnali inquietanti. Intervista al criminologo Francesco Trotta.

La Marca brucia. Scorrendo l’archivio dei quotidiani dell’ultimo anno, si scopre un lungo elenco di gravi incendi a capannoni industriali, depositi e centri raccolta rifiuti. Andiamo a ritroso. Martedì 9 gennaio 2018 ha preso fuoco a Poggiana di Riese un capannone delle ditta Milldue. Il 6 dicembre 2017 va a fuoco a Cappella Maggiore un capannone e c’è paura perché sono bruciate coperture in eternit. Il 22 ottobre tocca ai vigili di Motta di Livenza intervenire a Pravisdomini per domare uno spaventoso incendio in un capannone di vernici. Il 12 settembre le fiamme avvolgono l’azienda Asolo food.

Il 7 agosto prende fuoco un autodemolitore a Castelfranco Veneto. Il 19 agosto un vasto incendio nella zona industriale di Vidor brucia un capannone lungo centocinquanta metri dell’azienda di smaltimento rifiuti Vidori: l’incendio non è chiaro e simile a quello che ha devastato il 7 giugno, a Fusina, l’impianto di ecoriciclo della Veritas. Il 15 luglio 2017 incendio a Dosson, distrutto un capannone plastico. Il 4 aprile incendio al bottonificio della ditta Garbellotto di Conegliano. Il 25 febbraio uno spaventoso incendio distrugge il negozio Unieuro di Oderzo. Il 7 gennaio a Crespano del Grappa bruciano 200 rotoballe e distruggono un capannone. Notizie simili arrivano dal Vicentino e Padovano. Le inchieste della magistratura dovranno chiarire cosa è accaduto. Certamente esiste un problema di sicurezza degli impianti. Un’ombra cupa si allunga, però, dietro ad alcune situazioni, potrebbe esserci la malavita, peggio la mano della mafia e qualcuno di questi incendi potrebbe essere doloso. Preoccupano gli incendi nei centri raccolta rifiuti, 250 in Italia negli ultimi tre anni, molti di questi nel Veneto. Inchieste hanno già dimostrato il grande interesse di camorra e ’ndrangheta per lo smaltimento di rifiuti in Veneto.

Il criminologo Trotta: in Veneto la mafia c'è

Si occupa di crimine e di criminologia fin dai tempi dell’Università. Ha una laurea magistrale in Criminologia applicata per l’investigazione e la sicurezza conseguita all’Università Roberto Ruffilli di Forlì. Ha fondato l’associazione antimafia denominata “Cosa Vostra” a Treviso. Lo scorso anno ha pubblicato un libro dal titolo “Confiscateli”. Questo combattivo blogger, di sangue trevigiano e palermitano scrive nel suo libro: “I beni confiscati potrebbero essere una leva per far crollare, seppur con molta fatica, le fondamenta dei feudi mafiosi”.
Francesco Trotta, lei ha seguito le tracce della mafia nel Veneto, fino alla Marca Trevigiana. Quanto è grande il fenomeno?
Ormai i contorni si fanno chiari. I beni confiscati nel Veneto sono passati da 175 nel 2015 a 349 nel 2017, di questi 248 sono in gestione all’Agenzia dei beni sequestrati, 101 sono già destinati. Nel Trevigiano tre sono stati già assegnati al patrimonio dello Stato: due a Trevignano e uno a Susegana. Recentemente Paese è diventato il comune con più beni immobili confiscati per mafia, ben sei, tre appartenevano a una famiglia sinti-rom che è stata riconosciuta colpevole di un reato mafioso e quindi si è proceduto alla confisca dei beni usando la legislazione antimafia. Gaetano Fontanella, condannato per estorsione lo scorso dicembre, ha investito parte dei suoi 2 milioni e mezzo di patrimonio a Paese. A Venezia un bene confiscato è diventato un centro antiviolenza. Ma esempi più significativi di confisca e riuso li abbiamo a Verona, dove sono stati confiscati beni dei narcotrafficanti.

Questa recrudescenza di incendi nelle discariche e nei capannoni industriali (le inchieste sono ancora in corso) potrebbe avere qualche legame con storie di mafia?
Incendi al ciclo dei rifiuti sono definiti reati civetta, potrebbero nascondere la mano della mafia. Le mafie, e in particolare la ’ndrangheta, usano questi reati per infiltrarsi nel tessuto dell’economia legale o per rendere le aziende meno competitive, metterle in difficoltà e subentrare. Esemplare la vicenda della ditta Dal Ben Tre di Monastier, il cui titolare ha chiesto il patteggiamento della pena, e che risulta collegato con l’insospettabile commercialista Signifredi, definito nell’inchiesta “Pesci” «pienamente partecipe dell’associazione mafiosa».
Un mafioso in carcere a Padova, intercettato, ha definito il Veneto un El Dorado. Perché?
Il mito di tanti imprenditori che ce l’hanno fatta legalmente attira i mafiosi, la speranza di denaro facile muove tutto. Attenzione però, un recente studio del professor Parbonetti dell’Università di Padova ha dimostrato che le aziende che eliminano le infiltrazioni mafiose, aumentano la produttività del 20 per cento.
Ulteriori approfondimenti sul numero di questa settimana della Vita del popolo

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