Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
La testimonianza di un'infermiera: "Nessun malato viene lasciato solo, ma non c'è tempo per comunicare"
Anna (nome di fantasia, ndr) ha fatto il tampone ed è risultato negativo, un grande sollievo, ma la paura rimane: “E’ una grande tragedia, le famiglie non possono incontrarsi, come categoria mi sento supportata, ma la situazione è tutt’altro che normale". Le protezioni individuali? "Fondamentali".
“Si tratta di un’emergenza che coinvolge tutti, ognuno deve fare la sua parte per contenere il contagio, ognuno deve fare quello che può al meglio e con consapevolezza”.
Questo l’appello di un’infermiera dell’ospedale di Padova impegnata in un’unità operativa preposta ad affrontare le emergenze e reperibile nel reparto di rianimazione.
“La cosa più importante è capire, soprattutto nelle prime linee, reparti di urgenza e rianimazione, che ci sono procedure rigide per proteggere tutti, dobbiamo essere consapevoli dell’importanza delle protezioni individuali. I mezzi di protezione non sono mancati, ma bisogna utilizzarli con senso. Per approcciarci a un paziente impieghiamo quasi mezz’ora a vestirci, ma è importante farlo perché come si dice «morto il soccorritore, morto il paziente», se noi ci ammaliamo chi curerà gli ammalati?”.
Anna (nome di fantasia, ndr) ha fatto il tampone ed è risultato negativo, un grande sollievo, ma la paura rimane: “E’ una grande tragedia, le famiglie non possono incontrarsi, come categoria mi sento supportata, ma la situazione è tutt’altro che normale. Vado a lavoro in bici e vedo la città vuota, ma non è un vuoto che fa stare bene. Amo molto la mia città e la vedo come devitalizzata, è tutto fermo, sono rimaste solo le pietre, è un vuoto determinato dall’impegno di tutti, ma è una situazione molto triste. Quando torno a casa riprendo la mia vita normalmente, siamo vicini a persone che stanno male, ma le persone anche nelle situazioni difficili danno sempre qualcosa, c’è sempre uno scambio. Poi diciamolo, la maggior parte dei pazienti fortunatamente torna a casa. Quando arrivo al lavoro, vedo quei lavoratori che si adoperano per disinfettare la parte interna dell’ospedale, altri lavoratori, come medici, infermieri, oss, tutti in prima linea. Poi però ci sono anche persone che non capiscono niente – lo sfogo –, non è vero che solo i pazienti anziani subiscono l’infezione. La situazione attuale non era prevedibile, ma quando c’è stato il primo caso in Italia siamo stati allertati subito. Si tratta di un virus altamente contagioso, quindi l’azienda sanitaria ha messo in campo il piano pandemie che già esisteva per altri coronavirus che avevano fatto il salto di specie, come la Sars. Qui, nonostante la situazione sia grave il contagio è stato contenuto dall’utilizzo di regole molto rigide. Questa cosa è stata una bomba, quando il numero di persone ricoverate con criticità è molto alto il lavoro si fa impegnativo. Siamo tutti in prima linea e ognuno fa qualcosa. Oggi venendo al lavoro ho visto degli assembramenti di persone, come se niente fosse. Queste persone devono aiutarci, fare la loro parte, anche se capisco che possano essere al limite. Il mio è un impegno, non mi sento un eroe, sono un’infermiera, ci sono colleghi molto più in prima linea di me. Quello che è importante capire è che nessuno è escluso da questa prima linea. Quando si è fuori, sembrerà banale, ma è importantissimo lavarsi le mani, e lavarle in maniera corretta. L’incertezza per il futuro è molta, certo anche la Sars era arrivata in Italia, ma non con questa portata; come ha detto la dottoressa Ilaria Capua: «Se in passato i virus come il morbillo viaggiavano a piedi, oggi questo nuovo virus ha viaggiato in aereo». Dunque, ci siamo dentro tutti quanti; bisogna avere buon senso, stare a casa, anche perché non sappiamo ancora quando finirà”.
Intanto il lavoro in ospedale è cambiato: “Tutto quello che non era urgente è stato ridotto, ma non perché sia pericoloso andare in ospedale, ma per lasciare letti liberi per le urgenze e per evitare assembramenti quando non sono necessari. Con tutti i dispositivi di protezione è difficile vederci in faccia, i pazienti non ci riconoscono, non ci sono famigliari che girano per i reparti, è stato un cambiamento forte. Le famiglie sono a casa, magari in isolamento, le comunicazioni sono difficili, i medici si occupano di telefonare per dare notizie quando ci sono cambiamenti, per il resto purtroppo non abbiamo tempo, la comunicazione con i famigliari passa in secondo piano rispetto alla cura della persona, la cosa importante in questo momento è aiutare le persone ricoverate. Vorrei però sottolineare una cosa, viste le notizie che sono uscite in questo periodo: la vita di tutti i pazienti viene rispettata, la cura è il principio fondamentale. Se tu non ti attieni a questi principi etici molto forti di rispetto della vita fino alla fine non puoi tornare a casa serenamente, e non puoi continuare a lavorare. Abbiamo un comitato etico molto rigoroso che in questo momento si è reso presente anche con una lettera a sostegno di tutti i dipendenti. I pazienti vengono curati tutti, i reparti sono stati riconvertiti, i posti letto sono stati riconvertiti, la rianimazione non fa selezioni! Certo evitiamo l’accanimento terapeutico, sempre nel rispetto della vita e di ogni individuo, ci sono momenti in cui purtroppo neanche la rianimazione salva la vita, ma i medici, collegialmente, scelgono il miglior percorso di cura per ognuno, nessuno escluso. La sola idea che dei famigliari di pazienti ricoverati abbiano potuto leggere cose diverse da questa verità mi addolora. Se non ci sei dentro e non vivi la situazione è ovvio che rimani costernato. Già il lutto oggi è più terribile che mai, non c’è contatto, non c’è funerale, nessuna possibilità di elaborazione, vorrei almeno che fosse chiaro che nessun paziente viene abbandonato”.