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L'Aquila, dieci anni dopo

Alle 3:32 del 6 aprile 2009 l’Abruzzo veniva colpito da un devastante terremoto che lo mise in ginocchio. La rete Caritas si attivò immediatamente per rispondere ai bisogni immediati, ma anche per rimanere accanto alla popolazione una volta che i “riflettori si spensero”.

Alle 3:32 del 6 aprile 2009 l’Abruzzo veniva colpito da un devastante terremoto che lo mise in ginocchio. La rete Caritas si attivò immediatamente per rispondere ai bisogni immediati, ma anche per rimanere accanto alla popolazione una volta che i “riflettori si spensero”.

La sfida è stata, da un lato quella di ricostruire delle città e delle economie distrutte, dall’altro di camminare accanto alla popolazione per processare traumi sociali e psicologici.

Grazie alla solidarietà di quasi 23.500 donatori e della Conferenza Episcopale Italiana, Caritas Italiana ha messo a disposizione delle comunità locali oltre 35milioni di euro.

Di questi oltre 300mila euro sono stati versati direttamente da Caritas Tarvisina, che grazie alla solidarietà di centinaia di famiglie e parrocchie della Diocesi ho potuto essere prossima di una Chiesa provata dalla sofferenza e dalla distruzione. Grazie ai fondi raccolti, sono stati realizzati:

· interventi di prima emergenza

· 4 scuole per l’infanzia e primarie

· 16 Centri di comunità

· 7 strutture di accoglienza

· 2 servizi caritativi;

· ripristinate 16 strutture parrocchiali per attività sociali e comunitarie

· avviati progetti di animazione e aggregazione rivolti in particolare ai bambini e ai giovani, progetti sociali a favore delle persone in situazione di grave emarginazione, immigrati, giovani, famiglie

Tutte iniziative caratterizzate dal valore della solidarietà e dello scambio tra comunità cristiane e Chiese sorelle.

Le parole dell'Arcivescovo

“Un dramma come quello che si è abbattuto sulla città non lascia le cose com’erano. Ha provocato fratture nelle case, ma anche nell’anima delle persone. Quindi, si tratta di reagire a una catastrofe. Non si può restare senza mettere in campo le risorse necessarie per avviare il processo di riscatto e guardare con fiducia il futuro”. Lo dice l’arcivescovo de L’Aquila, il card. Giuseppe Petrocchi, in una videointervista al Sir in occasione dei 10 anni dal terremoto che ha colpito la città. Il porporato indica i due effetti di ogni evento calamitoso: “Amplifica alcune dinamiche problematiche, perché chi ha subìto una frustrazione porta il segno di una sofferenza che non è facile assimilare; ci sono poi alcune imprese che non sono eseguibili al singolare, ognuno sa che da solo non riuscirebbe a tirarsi fuori dalle difficoltà in cui il terremoto lo ha fatto scivolare. Occorre coesione e sinergia”. È così che il cardinale sostiene che “se venisse ricostruita la città esteriore, ma non i cittadini dentro, quella ricostruzione sarebbe gravemente mancante”. “Il terremoto dell’anima chiama a un’attenzione speciale”, evidenzia l’arcivescovo. Che sottolinea la necessità di “figure specifiche, competenze professionali, perché alcuni traumi diventano inaccessibili alla stessa persona che li porta dentro”. Poi, il cardinale indica una ricostruzione materiale a due marce. “La ricostruzione delle abitazioni private è più snella nelle procedute e più rapida negli esiti, mentre la ricostruzione pubblica si è dimostrata lenta e imbrigliata in procedure inadeguate che alcune volte l’hanno bloccata”. “Ci sono delle normative non rispondenti alle esigenze del posto che hanno operato come freni – segnala il porporato -. In questa dimensione pubblica vanno inserite anche le chiese”. Infine, i lavori nella cattedrale. “Abbiamo avuto in fasi diverse rassicurazioni sulla prossimità temporale in cui i cantieri si sarebbero dovuti aprire, purtroppo i fatti non le hanno confermate”.

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