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Il racconto del Vajont

Nel giorno del 60° anniversario della tragedia, andrà in scena in oltre 130 teatri, una “Orazione civile corale”, promossa da Marco Paolini. L’intervista con l’autore

Quella di lunedì prossimo, 9 ottobre, sarà una serata di teatro civile davvero unica. Nel giorno e nelle ore del sessantesimo anniversario della tragedia del Vajont, andranno in scena in contemporanea in oltre 130 teatri italiani ed esteri, altrettanti spettacoli accomunati dal titolo “VajontS 23 per una Orazione civile corale”, che proporranno allestimenti diversi su un canovaccio di tematiche comuni. E tutti si fermeranno alle 22.39, l'ora in cui la montagna franò nella diga causando la morte di quasi duemila persone.

E’ questa la formula per il “seguito” del celebre spettacolo “Il racconto del Vajont” con il quale Marco Paolini, nel 1993, e poi in diretta televisiva il 9 ottobre 1997, richiamò l’attenzione su quella tragedia e, finalmente, spiegò agli italiani quali furono le omissioni, le forzature, le bugie e le responsabilità che generarono quella tragedia. Un evento che ridiede dignità e fiducia ai cittadini e alle comunità colpite, stravolte.

Trent’anni dopo l’iniziativa pensata dal Comitato promotore di Fabbrica del mondo e dalla Fondazione Vajont diventa corale, allarga gli orizzonti, affronta problematiche scottanti, apertissime.

Gli spettacoli coinvolgeranno grandi attori come anche allievi delle scuole di teatro, teatri stabili e compagnie di teatro di ricerca, musicisti e danzatori, che si esibiranno non solo in teatri, ma anche in scuole, chiese, biblioteche, piazze.

Marco Paolini sarà una delle voci al Teatro Strehler di Milano. E “VajontS 23” avrà rappresentazioni anche a Parigi, Edimburgo e Ginevra (per vedere dove verranno realizzati gli spettacoli, consultare https://lafabbricadelmondo.org/progetti/vajonts-23/i-luoghi-di-vajonts-23).

Il 9 ottobre 1997, da un sito decisamente improprio per uno spettacolo teatrale, nei pressi della diga del disastro del Vajont, nel versante riempito dalla frana, Marco Paolini squarciò un velo.

Davanti ad un pubblico che si riparava dal freddo, in diretta su Raidue, rappresentò “Il racconto del Vajont”, conosciuto anche come “Vajont 9 ottobre '63 - Orazione civile”, il monologo teatrale che aveva lanciato nel 1993, a trent’anni dalla caduta di quella frana che aveva davanti.

Paolini, cosa ha rappresentato per lei, come cittadino e come uomo di teatro, quello spettacolo del 1993, poi proposto in televisione nel 1997?

Per me la storia del Vajont voleva dire restituire giustizia a chi non l’aveva avuta. E in fondo anche mettere me stesso alla prova, perché anch’io avevo “archiviato” quella storia come un disastro naturale. Quindi è stato molto importante per me raccontare la sofferenza, l’ingiustizia, dire i nomi dei colpevoli. Trent’anni dopo, del Vajont sappiamo molto di più. Giustizia è stata fatta, la memoria è stata ricostruita.

Nel 60° anniversario un nuovo spettacolo, perché?

Nel 1997 erano passati 34 anni dal disastro. Adesso, sono 60. Cos’è cambiato? Noi non siamo gli stessi. E’ passata una generazione, ma non è solo questione anagrafica. Da alcuni anni ho cominciato a studiare i report sul clima, a leggere i libri di chi prova a narrare ciò che stiamo vivendo, a misurare le strategie del negazionismo prima e del populismo poi nel cavalcare i luoghi comuni che contrastano il quadro scientifico, giustificando un’inerzia diffusa alla transizione ecologica. A ogni catastrofe sentiamo ripetere parole che non servono a impedirne altre.

Stavolta è una proposta assai diversa. Come è stata pensata?

La storia del Vajont è stata anche una catena di errori. E racconta non solo ciò che è accaduto sessant’anni fa, ma quello che potrebbe accadere a noi su scala diversa, in un tempo assai più breve. Dunque oggi quello che chiediamo con questa occasione, è di riflettere sugli errori più che sulle colpe. E di riflettere ragionando sulla complessità delle storie di tutto il nostro Paese. Per questo è un Vajont con la “esse”, al plurale, perché le situazioni di fragilità idrogeologica dell’Italia e le nuove situazioni di siccità a cui la crisi climatica ci espongono richiedono anche al mondo del teatro, dell’arte in generale, di occupare un ruolo civile, di “colla sociale” tra i cittadini. Non compete a noi la direzione politica. Ma ci compete rimettere i cittadini in una presenza attiva di quella che noi chiamiamo Prevenzione civile. Quindi, un ruolo prepolitico del teatro, rispetto al quale però la politica oggi non è in grado di rispondere, perché divisiva. Dunque, noi abbiamo bisogno di ricostruire questo tessuto, e storie come quella del Vajont ci aiutano a rimettere insieme le persone. Le altre storie dobbiamo imparare a raccontarle.

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