giovedì, 14 novembre 2024
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Come vivere il lutto nella situazione di questi giorni: "E' più difficile, non trascurare nel tempo il valore del rito"

Luigi Colusso, medico, psicoterapeuta, responsabile del progetto “Rimanere insieme” dell’Advar di Treviso, osserva quanto sta succedendo da un punto di vista particolare, che è quello dell’elaborazione del lutto, un campo al quale ha dedicato vent’anni della sua vita.

E’ commovente leggere in questi giorni dei gesti di tanti medici e infermieri che si prendono cura di chi muore da solo in ospedale, in reparti isolati a causa del coronavirus. Persone che raccontano, con pudore, di aver tenuto la mano ai morenti negli ultimi istanti, sostituendosi a mogli, mariti, figli, rimasti lontani per la loro sicurezza, lacerati da una distanza innaturale, disumana. “E’ la pietà umana, sono storie che meriterebbero di essere raccolte”: Luigi Colusso, medico, psicoterapeuta, responsabile del progetto “Rimanere insieme” dell’Advar di Treviso, osserva quanto sta succedendo da un punto di vista particolare, che è quello dell’elaborazione del lutto, un campo al quale ha dedicato vent’anni della sua vita. In ogni paese si sono svolte in queste settimane cerimonie senza una messa comunitaria, con la benedizione della salma alla presenza di pochissime persone, in cimitero o in obitorio, senza quei gesti consolatori tanto importanti per chi resta.

Dott. Colusso, colpisce il modo in cui famigliari e comunità sono costretti a congedarsi. E’ possibile elaborare il lutto in queste condizioni?

E’ più difficile, è una situazione anomala. Credo che non dobbiamo trascurare, però, il valore del rito (parlo in particolare per la cerimonia religiosa), recuperando il significato dei gesti del sacerdote, del segno dell’acqua con cui viene benedetta la bara, il senso di affidare alla terra la persona. Questo congedo è importante viverlo come l’inizio del “lasciar andare” la persona morta, separandola dal mondo dei vivi e aggregandola a quello dei morti. Un distacco che comincia e su cui bisogna continuare a lavorare. Le tecnologie potrebbero aiutarci anche in questi casi. Perché non fare un piccolo video con il telefono di queste cerimonie, da condividere con il resto della famiglia che non ha potuto essere presente? Senza perdere la speranza di un saluto più curato, comunitario, più avanti.

Ma lei ritiene possibile “recuperare” una forma di saluto comunitario, quando sarà?

Un’ipotesi che vedrei è, ad esempio, una messa, anche collettiva, per più defunti, nell’anniversario della morte, dopo un anno: un tempo buono per lavorare sul dolore, sulla mancanza. Mi viene da paragonare questo anno al tempo di preparazione di una coppia al matrimonio: dopo i preparativi, ci si ritrova, si celebrano le nozze. In questo caso, dopo un anno si può organizzare una messa di suffragio, un incontro con i famigliari, un ricordo concreto.

Quali gesti consiglia per vivere il lutto in queste circostanze?

La tradizione del Rosario, ad esempio, che può essere recitato da amici e famigliari tutti alla stessa ora, ciascuno nelle proprie case. Possiamo poi reimparare a scrivere, per elaborare il rapporto che c’è stato con il defunto, lavorare sulle relazioni, sui doni che ci si è scambiati nella vita, sul perdono in caso di incomprensioni, tensioni, lontananze. Certo, il consiglio è quello di lavorarci prima, quando si sa che un nostro caro sta per morire. Se c’è un insegnamento che può venirci da questa vicenda di tante morti “a distanza” direi che è il valore della relazione, che va coltivata, dandole profondità, quando il tempo c’è.

Come sono cambiate le vostre attività per le persone in lutto?

I gruppi non possono incontrarsi, ma noi ci siamo per colloqui telefonici, per un sostegno a distanza. Anche i nostri progetti continuano, come naturalmente la vita dell’hospice.

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