lunedì, 16 settembre 2024
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Grave di Ciano, ora la scelta

Il Magistrato delle acque “ripassa la palla” alle Istituzioni locali. Ma servirà un approccio globale alla tutela del Piave

Dopo la nuova crisi di Vicenza, le piogge che hanno bloccato la città e la linea ferroviaria Venezia Milano come nel 2010, è ricominciato l’allarme per la situazione dei nostri fiumi. Il presidente del Veneto, Luca Zaia, già a novembre, aveva ammesso, senza mezzi termini, che siamo esposti a un nuovo 1966, quell’acqua “granda” che sconvolse il Basso Piave, che vide transitare anche 5 mila metri cubi d’acqua al secondo sul fiume Piave. Viene da chiedersi come mai il Piave ritorna al primo posto solo dopo altre disgrazie, come mai dal 1966 non si è ancora riusciti a fare qualcosa. Nessuno è innocente, tanto meno chi ha governato questo territorio negli ultimi quarant’anni.

La questione del Piave, fatte le debite proporzioni, è simile a quella del Mose: progetti giganteschi, complessi e, dall’altra, un territorio che si spaventa, che teme lo stravolgimento dell’equilibrio idrogeologico e ambientale e che si oppone strenuamente. Così, da tempo, il progetto delle Grave di Ciano, una cassa di laminazione di 40 milioni di metri cubi, viene osteggiato al punto che Crocetta del Montello e altri sette Comuni hanno fatto ricorso (in questi giorni non accolto) al Tribunale delle acque di Roma.

Ci sono due cose, però, che si possono imparare dal Mose, al di là del giudizio che possiamo dare di quest’opera, che ha debuttato bene, ma che attende ancora il verdetto del tempo. La prima che il Mose non è solo una serie di paratie, ma è un progetto che ha portato al recupero delle barene e dei canali in laguna, alla sistemazione delle bocche di porto, a studi costanti sull’equilibrio tra acqua fauna e flora, tra ambiente e antropizzazione. Allo stesso modo, la questione delle esondazioni del Piave non è solo una cassa di laminazione in più o in meno, ma riguarda l’intero sistema: dalle rive ai ponti, dalle escavazioni alle golene, dalle centrali elettriche ai bacini montani. Ogni progetto sul Piave deve essere articolato lungo tutta l’asta, e con diversi interventi.

La seconda cosa è che dal momento che l’uomo è presente e che nel corso della storia ha antropizzato il territorio, si assume anche la responsabilità di gestirlo e di organizzarlo, perché duri nel tempo. Per questo, alla fine, dopo aver studiato e discusso, bisogna decidere.

Ritenendo inammissibile il ricorso presentato dai Comuni guidati da Crocetta del Montello, il Tribunale delle acque ha passato la palla alle Istituzioni, che dovranno ritornare a parlare e a confrontarsi. Qualche anno fa, il “contratto di fiume” un processo di “democrazia partecipativa, all’interno del quale c’erano tecnici che svolgono ruoli di facilitazione e di supporto all’azione trasformativa dei conflitti nell’ambito delle politiche ambientali, territoriali e di sviluppo locale”, è abortito. Ora, però, il Tribunale chiede di ritrovarsi e di discutere il progetto, per arrivare a una decisione assumendosi, appunto, la responsabilità. Lo dovranno fare in un’ottica complessa, ovvero di più interventi (si discute anche della diga di Falzè, che porterebbe a un totale di 80 milioni di metri cubi l’acqua “contenuta” in caso di esondazione), un intervento che non si esaurisca in uno o due punti, ma preveda la salvaguardia delle golene a sud, la gestione dei bacini montani con degli scarichi al fondo dell’acqua e pulizia dei detriti, la cura costante dell’alveo.

Il progetto delle Grave di Ciano prevede l’intervento su 200 ettari di un’area Rete natura 2000, tutelata dalla Direttiva habitat e uccelli dell’Unione europea. Sarà costituito da quattro vasche adiacenti, con pareti di contenimento alte fino a otto metri, lunghe 13,5 chilometri. Per realizzarlo verranno scavati circa 35 milioni di metri cubi di terra, distribuiti su una superficie di cinquecento ettari. Un’opera enorme, ci vorranno 10 anni e molti soldi: 55,3 milioni di euro, mentre la fase progettuale è già stata finanziata con 1,6 milioni di euro.

Andrea Marion, docente di idraulica all’università di Padova, ricorda che le Grave non sono l’unica soluzione al problema della difesa idraulica del Piave. Il Piano stralcio per la sicurezza idraulica del Medio e basso corso del fiume Piave, predisposto dall’Autorità di bacino nel 2009, elencava ben quattro opzioni in ordine di priorità e la migliore, sembrava il sito di Ponte di Piave. Alla fine, però, ci si è concentrati sul sito di Ciano, per due ragioni: è collocato più a monte, e quindi protegge un’area più vasta lungo il Medio Piave; è completamente demaniale, e quindi costa meno sia in termini di espropri sia in termini di ricorsi legali e processi decisionali.

Gli studi hanno messo in luce che il Medio e il Basso Piave, nelle province di Treviso e Venezia, possono reggere portate fino a circa 3 mila metri cubi al secondo, ma il fiume in precisi momenti dell’anno - in particolare a novembre - può arrivare facilmente a portate fino a 5 mila metri cubi al secondo. In futuro, non si può prevedere cosa ci riservano i cambiamenti climatici. Le esondazioni periodiche che hanno colpito il Basso Piave, da San Donà in poi, nel 1966, ma anche nel 2010, nel 2018 e nel 2020, potrebbero ingigantirsi.

Si calcola che, in caso di piena, potrebbe essere necessario evacuare fino a centomila abitanti in poche ore. Oggi, tutti sono divisi, la Regione da una parte, Comuni del Montello da un’altra, Comuni del Basso Piave da un’altra parte ancora.

I tecnici hanno detto molto, ora tocca alla politica decidere, la natura non aspetta, non possiamo ricordarci del Piave solo quando va sotto qualche città del Veneto e poi riporlo nel dimenticatoio.

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