lunedì, 16 settembre 2024
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Il lupo è sempre più vicino

Si cerca un delicato equilibrio tra uomo e animali. Allevatori, operatori turistici e semplici cittadini non nascondono preoccupazioni. Ma le facili scorciatoie, come per esempio gli abbattimenti, non servono

Chi immaginava una società sempre più attenta agli animali, con un’alimentazione umana basata sulla raccolta di frutti e vegetali piuttosto che sulla caccia, deve ora ricredersi. Il rapporto tra l’uomo e gli animali, liberato dall’urgenza del sostentamento, pareva avviarsi verso una convivenza pacifica e fruttuosa. I piani per il reintegro di specie scomparse, i parchi aperti, anziché i tristissimi zoo, le aree di caccia delimitate, e i cacciatori ridotti a poco più che club di canasta, sembravano diventare la regola.

Invece, il rapporto con l’ambiente è ancora incrinato. O, comunque, problematico. Come avviene per l’aria e per l’acqua, l’uomo fatica a trovare un equilibrio con il resto dell’ecosistema. Il tema è complesso, e non può essere ridotto alle posizioni degli ambientalisti radicali, per i quali a volte sembra che la vita di un uomo conti meno di quella di un animale, né alle esigenze economiche di gruppi di interesse particolare o alla sindrome del “basta che non sia nel mio giardino”.

Politica chiamata a trovare soluzioni

La politica, dopo aver ascoltato i tecnici, è chiamata a trovare soluzioni ed equilibrio in situazioni nuove ed estreme. Come gestire lo sviluppo delle colonie di lupi, dopo che la direttiva Habitat dell’Unione europea ha trasformato questo animale in una specie protetta e, piano piano, è tornato vicino alle nostre case? E’ successo prima nella Lessinia, poi ad Asiago, poi sul Grappa e sul Piave.

In provincia di Treviso avvistati lupi persino in pianura, dal lupo zoppo del Piave a quello (forse lo stesso, forse no) che sta spaventando gli abitanti di Spresiano. Anche l’orso, che sembrava un problema solo per il Trentino, potrebbe diffondersi. Per non parlare dei cinghiali, il cui numero è decollato a oltre un milione di esemplari, 90 mila solo nella Pedemontana veneta, e che ora sono anche veicolo della pericolosissima peste suina, minacciando gli allevamenti di suini tra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Devastante è stato l’arrivo delle nutrie nel nostro Paese, un animale non autoctono, che mette a rischio la sicurezza idraulica dei canali e l’equilibrio delicato dell’ecosistema acquatico.

Tornano le foreste, non la biodiversità

Alcune specie, cervi, camosci e caprioli, sono ricomparsi in molte zone, grazie al proliferare delle foreste, createsi non per una precisa programmazione, ma piuttosto per l’abbandono del territorio da parte dell’uomo. Più del 90 per cento della biodiversità è, però, andata perduta, in particolare nelle acque dei nostri fiumi. Alcuni corvidi, come le gazze, hanno distrutto le popolazioni di altri volatili, A Belluno, nel 2019, si è portato a termine un piano di abbattimento dei corvidi per salvare le rondini.

Allevatori contro ambientalisti

Tornando ai lupi e ad altri predatori, la Regione Veneto, nel 2023, ha speso più di un milione di euro solo per indennizzi e il 15 luglio scorso sono stati approvati altri 400 mila euro per la costruzione di nuovi recinti.

La polarizzazione è forte: da una parte, allevatori, Coldiretti, sindaci preoccupati, operatori turistici, dall’altra, animalisti a tutto tondo, associazioni ambientaliste. Incapaci di gestire i conflitti, moltiplichiamo le aree di criticità. Un esempio su tutti è quello degli abbattimenti, che sembrano la soluzione più semplice, ma che si sono rivelati fallimentari in passato.

I cinghiali in Italia sono un milione e mezzo; ogni anno ne vengono abbattuti 300 mila, eppure non basta. “Soluzioni più mirate - spiega Duccio Berzi, tecnico faunistico -, come l’uso di proiettili di gomma, si sono dimostrate efficaci contro i lupi”. Diventa una sorta di educazione dell’animale, che impara a non essere confidente con l’uomo. Questo vale anche per l’orso, il più pericoloso è quello che ha imparato a diventare confidente con l’uomo.

Ristori inutili

Inutile anche la politica dei ristori. “In realtà - ha dichiarato Piero Genovesi, responsabile dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Ispra - il tema non è solo economico. Per gli allevatori, il danno emotivo legato alla perdita di animali selezionati con cura per anni è significativo. Questo sentimento di impotenza può portare all’abbandono dell’attività, un problema che dovrebbe essere considerato anche da chi si oppone alla gestione del lupo”.

Sul monte Grappa è già evidente la difficoltà di gestione delle malghe, e se a questo si aggiunge la distruzione del bestiame selezionato, è difficile che l’anno successivo gli allevatori tornino in quota. “Per un allevatore, ricostruire un gregge dopo una predazione non è solo una questione di costo per capo; in molti casi, l’allevamento è già un’attività ai limiti della sostenibilità e una predazione può essere la goccia che fa traboccare il vaso”, prosegue Genovesi, che conclude: “Negli anni ’90, la popolazione di orsi in Trentino era quasi estinta, e si decise di reintrodurli con grande cautela, prendendoli dai Balcani. Inizialmente, il parere tecnico era contrario, ma dopo studi approfonditi e un ampio supporto della popolazione, si decise di procedere”. Oggi dobbiamo utilizzare un piano di interventi graduali per modificare il comportamento degli orsi problematici, ma nei casi estremi, l’orso deve essere rimosso. La ricerca è quella di un equilibrio tra la protezione della fauna selvatica e la sicurezza delle comunità locali.

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