martedì, 19 novembre 2024
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Aria malata, di chi la colpa?

I livelli di inquinamento restano elevati, nonostante la riduzione di emissioni da parte dei veicoli. Più critica la situazione degli impianti di riscaldamento. E c’è anche il fronte allevamenti

Ancora siamo a parlarne. Lo smog, in pianura Padana, anche quest’anno è stato ben oltre i limiti. Le famigerate particelle pm10 e pm2,5, complice l’assenza di vento di pioggia nel periodo tardo invernale, si sono ritrovate nell’atmosfera ben oltre i limiti. Il mese più nero è stato quello di febbraio.

E’ una notizia che, più volte ripetuta, fa sempre meno rumore, ci si dimentica che l’aria inquinata è alla base di gravi malattie come ictus, infarti, ipertensione, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, tromboembolismo venoso. Lo smog influisce sullo sviluppo dell’arteriosclerosi. Malattie che, soprattutto quelle cardiache, nel Veneto e nel resto della pianura Padana, sono al primo posto come causa di decessi.

Circondata dalle Alpi a nord e dagli Appennini a sud, quest’area è una specie di catino, all’interno del quale si crea un microclima che, in determinate occasioni, intrappola gli inquinanti. Ad esempio, durante le inversioni termiche, la pianura diventa una conca dove si accumulano particolato e ossidi di azoto, arrivando a elevate concentrazioni.

Secondo le direttive dell’Unione europea, le concentrazioni di Pm10 superiori a 50 μg/metrocubo sono considerate pericolose e questa soglia non dovrebbe essere superata per più di 35 giorni in un anno.

Se guardiamo gennaio - marzo 2024, il dato è tragico. Le città venete già oltre il limite di 35 giorni l’anno di concentrazione di Pm10 sono Verona (44 giorni di sforamenti), Vicenza (41), Padova (39) e Venezia (36). Seguono Treviso (35) e Rovigo (34). Treviso secondo il rapporto Mald’aria 2023 di Lega ambiente è risultata la terza città più inquinata d’Italia, con 63 sforamenti in un anno.

Se sul fronte del contenimento delle emissioni nocive, il trasporto, in particolare i veicoli leggeri come auto e moto, segna ogni anno riduzioni, i settori dove la situazione resta critica sono le emissioni da riscaldamento, in particolare per l’uso di camini aperti di stufe a legna, e l’allevamento. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) calcola che la combustione non industriale è responsabile del 49 per cento del Pm10 presente nell’aria delle città italiane. Maggiori responsabili di questo sono i riscaldamenti, di più quelli a legna e pellet, che hanno registrato un complessivo aumento del particolato. Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale ha dichiarato: “In Lombardia (come in Veneto ndr) vengono ancora molto utilizzati anche caminetti e stufe a pellet, che hanno grandi produzioni di polveri. Anche il gas, però, produce sostanze inquinanti. Una elettrificazione degli impianti di riscaldamento è una delle soluzioni”.

Il dato Ispra - che prende in considerazione il particolato secondario, risultato dall’interazione tra le polveri sottili, già presenti nell’atmosfera, altri composti volatili e inquinanti come l’ammoniaca, gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo e i fattori climatici e le radiazioni solari - disegna una graduatoria delle fonti di inquinamento che vede al primo posto il riscaldamento, con il 38 per cento, seguito dagli allevamenti intensivi 15,1, l’industria 11,1, i veicoli leggeri 9, le merci su strada 7,1 e l’agricoltura con il 6 per cento. Bisogna fare attenzione, però, a non assolutizzare queste cifre. E’ ovvio che a Mestre, o a Padova, o a Treviso, in centro, negli orari di punta, il valore dell’inquinamento da autotrazione schizzi verso l’alto. Al contrario, il riscaldamento incide solo per il periodo invernale. Sale l’inquinamento agricolo nel periodo siccitoso, per il sollevamento di polveri e negli allevamenti si arriva a produrre il 75 per cento di tutte le polveri sottili.

Negli anni, è aumentata la concentrazione di tutti i principali gas serra. Tuttavia, l’incremento è molto sensibile nel caso del metano, passato da meno di mille (nel periodo pre-industriale) a quasi 2 mila parti per miliardo. L’anidride carbonica è caratterizzata da vita molto lunga (secoli), mentre il metano resta per tempi più brevi (circa 12 anni), ma in quel tempo risulta molto più dannoso. “Gli animali, attraverso i loro escrementi, emettono una serie di gas che creano un effetto serra. L’emissione di metano proviene per il 37 per cento dell’allevamento e, rispetto a 100 anni fa, è 86 volte più distruttiva - afferma Francesca Grazioli, scrittrice e ricercatrice del centro internazionale “Bioversity international” -. In 100 anni, infatti, la sua capacità di intrappolare il calore rispetto alla CO2 è di 86 volte maggiore. Inoltre, è presente un altro gas: il protossido d’azoto. Il 65 per cento di questo viene prodotto all’interno degli allevamenti intensivi ed è 310 volte più potente della CO2, quindi ha 310 volte il potenziale di riscaldamento della CO2”.

Che la criticità del metano libero sia imputabile agli allevamenti in pianura padana è contestato da Assosuini, che spiega: “L’agricoltura e la zootecnia contribuiscono primariamente alla produzione di ossigeno e alla cattura e stoccaggio di carbonio, e forniscono servizi ecosistemici di abbattimento delle polveri sottili e della rimozione degli inquinanti emessi dagli altri settori”.

Intanto, Openpolis segnala una nuova criticità: il 2,4 per cento degli edifici scolastici sono vicini a fonti di inquinamento atmosferico. Il problema riguarda soprattutto le città. Nella nostra diocesi di Treviso abbiamo 4 scuole a Castelfranco, 3 a Montebelluna, 1 a Povegliano, 6 a Treviso, 5 a Mirano, che potrebbero risentire di questa vicinanza. I dati relativi alla presenza di edifici scolastici vicini a fonti di inquinamento atmosferico rispetto al comune sono stati elaborati incrociando informazioni di fonte Ministero dell’Istruzione e del Merito e Istat.

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