giovedì, 21 novembre 2024
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“Pedalare dà un gran senso di libertà”

A raccontarlo è Gianni Bugno che, intervistato, parla del suo ciclismo e dei giorni d’oggi

“Il ciclismo non è uno sport difficile, di fatica se lo fai con passione. Io ci ho sempre messo tanta passione, perché il ciclismo è libertà”. E detto da un campione come Gianni Bugno, proprio nel giorno della “Liberazione” vale doppio. Infatti, il 25 aprile scorso il due volte campione del mondo di ciclismo è stato ospite del Comune di Morgano e su organizzazione dell’associazione Dimensione Morgano sono stati organizzati due incontri sul tema “Capitano mio capitano” imperniati sul ciclismo. Nel primo è stato ospite Marzio Bruseghin e, poi, lui, il capitano per antonomasia, Gianni Bugno, Lombardo, ma figlio di genitori trevigiani dove, a Cavaso del Tomba, ha trascorso anche parte della sua gioventù. Bugno, sollecitato dal giornalista Toni Frigo parecchi Giri d’Italia sulle spalle come inviato e proprio alla vigilia della partenza del Giro, ha raccontato il suo ciclismo: “Ho vissuto il ciclismo a modo mio - ha spiegato Bugno -, sempre in solitario perché io lo gustavo così. Anche negli allenamenti, uscivo quasi sempre da solo e solo così riuscivo a cogliere l’essenza di questo sport che mi dava un senso di libertà unico”. Gianni Bugno, poche parole, sempre pesate, calibrate, mai compiacente, ma sempre diretto anche nelle sollecitazione del suo interlocutore: “Per me il ciclismo è stata una folgorazione. Pensate che non conoscevo nemmeno chi fosse Eddy Merckx. Un giorno è passato il Giro d’Italia sotto casa mia è lì ho avuto una folgorazione per questo sport, che è durata fino a quando ho smesso, dopo una quindicina d’anni di professionismo”. E in questi 15 anni ha conosciuto e corso contro uno dei più forti ciclisti, Miguel Indurain: qualche rimpianto? “No, assolutamente. Io ho fatto le mie corse e ottenuto le mie vittorie e lui ha fatto le sue. Non ho nulla da recriminare della mia carriera. Vinto o perso sono sempre stato io protagonista anzi, dirò di più. Personalmente ho sempre analizzato di più le sconfitte delle vittorie. Se ho vinto tanto, anche corse importanti (due volte campione del mondo) lo devo proprio alla carica che mi davo dopo le sconfitte”. Tra poco partirà il Giro d’Italia; drastico il suo commento: “Il Giro è una questione di tre corridori con il primo posto già ipotecato da Pogacar. Gli italiani? Possono ambire dal quarto o quinto posto in poi, nulla di più. Purtroppo oggi siamo messi male. Nella nazionale sono tutti luogotenenti. L’unico è Ganna che non può competere in tutte le corse. Su strada non può fare nulla perché ci sono cinque o sei corridori più forti. Lui deve andare in pista e basta, altrimenti lo snaturano”. Ma allora cosa serve al ciclismo nostrano per riprendere quota e credibilità? “Ci vogliono i tecnici migliori e tenere qui i giovani o avere più squadre. Non si riesce a far crescere un giovane in Italia purtroppo...”. Forse perché è venuta meno la passione per questo sport.

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