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Porre un limite agli alunni stranieri per classe è un falso problema

L’integrazione nelle scuole del nostro territorio è reale, grazie soprattutto a una progettualità efficace, docenti preparati, una rete locale di volontari. Gli esempi positivi dell’Ic Coletti, del Cfp di Fonte e della primaria di Monastier

Qualche settimana fa fecero notizia le dichiarazioni del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché leader della Lega, Matteo Salvini, ospite di una trasmissione televisiva, dove affermò che “bisogna mettere un tetto al numero di alunni stranieri in ogni classe. Un 20% di bambini stranieri in una classe è anche stimolante, conosci lingue, culture, musiche diverse. Ma quando gli italiani sono solo il 20% dei bambini in classe, come fa una maestra a spiegare l’italiano, la matematica, la storia e la geografia?”.

Gli ha fatto seguito il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, il quale ha dichiarato “la maggioranza degli alunni deve essere italiana, basta classi con troppi studenti stranieri”.

In realtà, in Italia esiste già un limite di studenti stranieri per classe, introdotto nel 2010 dall’allora ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini, che stabilisce che il numero di studenti con ridotta conoscenza della lingua italiana non deve superare il 30% degli iscritti in ogni classe. Limite che può essere alzato dal direttore generale di un Ufficio scolastico regionale, a fronte di studenti stranieri che si ritiene abbiano adeguate competenze linguistiche (si pensi ai ragazzi nati in Italia).

Enormi differenze esistono da una parte all’altra d’Italia.

Dati aggiornati del Ministero dell’Istruzione e del Merito rispetto all’anno scolastico 2021/22 ci raccontano che il 7,2% di tutte le scuole italiane ha oltre il 30% di studenti stranieri, mentre le scuole con zero stranieri sono il 18%. Anche se esistono grandi differenze a seconda delle regioni e delle città considerate. Gli studenti di origine straniera sono più numerosi nelle aree a maggiore sviluppo economico, dalla Lombardia, all’Emilia Romagna, al Veneto, al Piemonte.

Buone pratiche all’Ic Coletti di Treviso

L’Istituto comprensivo Coletti di Treviso ha 970 studenti, distribuiti fra 2 scuole d’infanzia, 5 primarie, 2 medie, plessi distribuiti nei quartieri di San Liberale, Santa Bona, Monigo e San Paolo, con molti studenti frequentanti di origine straniera. “Ma questo per noi non è affatto un problema – spiega la dirigente dell’Ic Coletti, Angela Ferraro – prova ne sia che a febbraio scorso una classe V della primaria Collodi, con una grande prevalenza di studenti stranieri, è stata premiata a Roma dal presidente Mattarella nell’ambito del concorso nazionale “10 febbraio” dedicato alla Giornata del Ricordo sull’esilio giuliano-fiumano-dalmata. Un’occasione per promuovere la pace, l’incontro tra i popoli e il superamento dei pregiudizi attraverso la memoria storica”.

La dirigente spiega che da loro l’integrazione è reale, realizzata tutti i giorni. “L’unica differenza, è che di solito i bambini di altre religioni non frequentano le ore di Irc (insegnamento religione cattolica); per il resto, partecipano a tutte le nostre attività, scolastiche ed extrascolastiche. Cito a titolo di esempio la Scuola della pace, gestita dai volontari della comunità di Sant’Egidio, un’iniziativa di doposcuola attiva alle scuole primarie Carducci di Santa Bona e da quest’anno anche alle Collodi di San Liberale, svolgendo le attività in parrocchia, frequentate indifferentemente da tutti i bambini, anche da quelli di religione musulmana”. [...]

Oltre ai ragazzini che arrivano a scuola totalmente digiuni della lingua italiana, e per i quali “sarebbe fondamentale che il Ministero dell’Istruzione prevedesse appositi fondi, l’altra difficoltà che incontriamo è con l’etnia rom, che ha alcune difficoltà sul rispetto della regola e della norma. Per fortuna, nel nostro Istituto c’è un grande lavoro di squadra con i docenti esperti, la segreteria, il personale di assistenza, e i genitori del Consiglio di istituto, che ci consente di ottenere ottimi risultati”.

Un’ultima considerazione che la dirigente formula, è sul pregiudizio: “In alcuni plessi registriamo un calo di iscritti: in parte è fisiologico, per il calo della natalità, in parte per il pregiudizio dei genitori verso i bambini stranieri. E’ un vero peccato, perché è un falso problema, un comportamento ingiustificato e ingiusto”.

Fondazione Opera Monte Grappa di Fonte

Andrea Mangano è il direttore del Centro di formazione professionale Fonte, che accoglie circa 700 studenti, con corsi nei settori della meccanica industriale, carrozzeria, riparazione auto, addetti alla vendita, impiantistica elettrica e termoidraulica.

“Circa il 30% dei nostri allievi è nato da genitori di origine straniera, ma questo non significa assolutamente nulla, poiché la maggioranza di loro possiede la cittadinanza italiana, molti parlano il nostro dialetto veneto e si considerano a tutti gli effetti italiani. Alcuni non hanno mai neppure visitato il Paese d’origine dei genitori, hanno un nome e un cognome straniero, magari la pelle scura, ma nulla più. Sono a tutti gli effetti e perfettamente integrati nelle nostre comunità”.

Mangano fatica a comprendere questa preoccupazione per il tetto massimo di studenti di origine straniera in una classe. “Si teme forse che lì si parli troppo poco la lingua italiana? Io mi preoccuperei piuttosto del tasso di denatalità nel nostro Paese. Fra pochi anni, quel problema rischia letteralmente di travolgerci”.

Scuola primaria di Monastier

“L’accoglienza e l’ascolto, queste sono le chiavi che ci consentono una buona integrazione dei bambini e dei ragazzini di origine straniera”.

Patrizia Volpato è la responsabile per l’inclusione all’Istituto comprensivo di Roncade, oltre a essere docente di classe V alla scuola primaria di Monastier.

Un plesso dove i bambini di origine straniera sono molti, poiché in paese ci sono numerose aziende, che attirano tanti lavoratori, anche dall’estero.

“Sono bambini di diversa nazionalità, sia di prima che di seconda generazione, – spiega la dirigente dell’Ic Roncade, Anna Maria Vecchio –, provenienti in prevalenza dai Paesi dell’Est e dell’Africa. E’ un tipico caso di plurilinguismo; spesso i bambini parlano italiano solo a scuola. L’approccio che abbiamo messo a punto è di accoglienza, inizialmente ludica, per poi dedicarci all’insegnamento e rafforzamento della lingua italiana, fin dalla classe prima”.

Una risorsa importante, per due anni di seguito, è stato il progetto Fami (Fondo asilo migrazione e integrazione) finanziato dal Ministero dell’Interno, che ha consentito alla primaria di Monastier, in rete con l’Ic Martini di Treviso, la realizzazione di laboratori di 36 ore per il potenziamento della lingua italiana.

Gli articoli completi sul numero della Vita del popolo di domenica 12 maggio

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