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Giovani sempre più fragili: il monito del Ceis Treviso
Siamo ormai agli sgoccioli dell’anno e per tante persone, realtà produttive e del terzo settore è il momento di tirare le somme. Lo ha fatto anche il Ceis di Treviso, cooperativa sociale che gestisce le più grandi strutture di accoglienza, sostegno terapeutico e riabilitazione per persone con problemi di dipendenze e salute mentale nella provincia di Treviso. Con il loro lavoro sono state individuate due tendenze preoccupanti: l’aumento delle dipendenze tra le donne e la diffusione di sostanze sempre nuove tra i giovani, che manifestano sempre più fragilità.
Fotografia dell’ultimo anno
Le sei sedi Ceis sul territorio (quattro dedicate alla cura delle tossicodipendenze e due alla salute mentale) hanno accolto quest’anno 220 persone. I posti accreditati dall’Ulss 2 per l’abuso di sostanze sono 74 e 94 sono i programmi portati a conclusione con esito positivo, vale a dire utenti che hanno completato il percorso di reinserimento sociale e lavorativo e ora hanno un’occupazione per mantenersi o che stanno continuando il percorso di cambiamento in un altro servizio. Il Ceis infatti fa parte del Gruppo Ricerka insieme a Kapogiro e ad Erga, due cooperative sociali che accolgono tirocinanti e lavoratori con fragilità: l’obiettivo è quello di condurre le persone non solo a un recupero dell’autonomia, ma anche a una restituzione del bene e del sostegno ricevuti nella prima fase di assistenza. In questa fotografia ci sono però anche tinte fosche: per la prima volta nel Cpa – Centro di Prima Accoglienza gli utenti presenti vedono una perfetta parità di uomini e donne, mentre fino all’anno precedente gli uomini erano in netta maggioranza. Particolare attenzione è dedicata anche ai giovani, soprattutto tra i 20 e i 23 anni: la loro presenza nella comunità residenziale di Campocroce (cioè quella che accoglie patologie e dipendenze gravi) è in aumento, e infatti da un paio d’anni anche questa struttura ha cominciato ad avere sempre una lista di attesa.
Fragilità crescenti
Salute mentale e dipendenze vanno di pari passo, e sempre di più: non è possibile capire quale delle due cose scateni l’altra, ma la correlazione c’è ed è riscontrata anche dall’Ulss, che vede sempre più utenti giovani nei dipartimenti di salute mentale. Le fragilità familiari, personali o di contesto sono in aumento, soprattutto tra i giovani, che spesso non trovano altri strumenti per maneggiarle. Oggi ci sono più droghe, a costi più bassi, reperibili più facilmente e prodotte senza controllo. Eroina e cocaina, spesso associate all’alcool, sono ancora le principali sostanze che portano alla necessità di una presa in carico assistenziale e duratura, ma soprattutto tra i giovani appunto si riscontra un maggiore aumento di prodotti nuovi come la ketamina, che tecnicamente è un analgesico dissociativo e l’effetto fondamentale è quello di creare dissociazione, meno sensibilità a quello che succede attorno, e quindi possibilmente anche alle conseguenze di ciò che si fa. Nell’indagine che il Ceis ha condotto sul tema, con un campione di 48 persone dai 18 ai 30 anni, circa l’85% ha consumato ketamina almeno una volta nella vita, di cui il 41,5% almeno una volta nell’ultimo anno; l’età media di primo uso è 28 anni, con un gruppo significativo tra i 16 e i 18 anni di età.
Il nodo prevenzione
Il Ceis ha le idee piuttosto chiare su come affrontare questa situazione complessa: la prevenzione. “I dati ci dicono che l’età del primo uso di sostanze è tra i 14 e i 16 anni, ad esempio per la cannabis, mentre per l’alcool ancora prima, già sui 13 anni” spiega Luca Sartorato, presidente del Ceis Treviso. “Per questo fare una lezione spot nelle scuole su quanto le droghe facciano male rischia solo di essere un incentivo. I ragazzi lo sanno che le sostanze fanno male, quello che dobbiamo fare è lavorare sulla prevenzione, compiere percorsi più lunghi e approfonditi sulle loro fragilità per aiutarli a potenziare le loro risorse. Non bisogna lavorare sul proibito ma sul loro bisogno di autonomia, crescita, consapevolezza, che è lo stesso che avevamo noi delle generazioni precedenti, solo che avevamo molti meno strumenti a disposizione per arrivare alle sostanze”. Non solo: secondo il Ceis è opportuno educare gli allenatori sportivi (che sono a contatto con gli adolescenti per una buona parte del loro tempo libero) a riconoscere le dinamiche di gruppo e ad ascoltare le fragilità dei loro giovani atleti, oltre che affiancare le famiglie, anch’essere bisognose di crescere e fortificarsi, visto che oggi sono molto più precarie di un tempo. “Se non si interviene con un lavoro di rete che coinvolga davvero tutti gli attori – non solo amministratori e forze dell’ordine ma anche psicologi, educatori – il problema sarà certamente in aumento” conclude Sartorato.