martedì, 17 settembre 2024
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Mostar, piccoli segnali di riscatto

In visita a Mostar, dove lo storico ponte è ritornato a risplendere ma dove i muri, reali e psicologici, sono ancora molti e condizionano la rinascita di questi luoghi a vent’anni dalla fine della guerra

Il vecchio ponte (Stari Most) di Mostar, forse il più famoso al mondo, è tornato splendente ed emozionante. Animato da decine di piccoli negozi, caffè e trattorie, e da tanti turisti. Quando cala la sera il ponte, i caffè ed i negozietti si illuminano. Tutto intorno si spande la città di Mostar, con le cicatrici di case diroccate che conservano i buchi delle cannonate ma anche tanti nuovi edifici, costruiti o ri-costruiti in vent’anni di pace. Forse pace è una parola sproporzionata per questa valle della Bosnia Erzegovina: terra verde ricca di vigneti, di orti, di  giardini e straripante di acqua e canali. Piuttosto una tregua piena di incertezze in un territorio costellato da bandiere che richiamano conflitti, alleanze fatte e disfatte, guerre di (pseudo) religione combattute poco più di 20 anni fa, dal 1992 al febbraio del 1995. E solo nel 1996 è stata ristabilita la libera circolazione da una parte all’altra della città.
Ho potuto visitare questa parte della Bosnia Erzegovina, con una trentina di persone molto partecipi, grazie a Stefano Donà, vulcanico ed organizzatissimo promotore del viaggio (all’interno di Ritmi e danze dal mondo) assieme a Luca Leone giornalista ed editore del volume “Bosnia Express”.
Abbiamo incontrato persone ed associazioni che vivono questa divisione con tanta sofferenza, ma anche con la determinazione di oltrepassare questa frontiera, questo muro. A partire da  Zlatko Serdarevic, responsabile del Center for Peace and Multiethnic Cooperation a Mostar. Lavora in poche stanze circondato da circa 3 mila dvd e videoccassette che raccontano i mesi dolenti e terribili della guerra, degli odi delle crudeltà consumate in nome di una religione asservita alle mire di dominio degli uomini e dei vari nazionalismi. “In questa città - ci racconta - viviamo divisi da un muro, proprio come quello che c’era a Berlino. La differenza è che quel muro era di mattoni e, quando è finalmente giunto il momento, è stato facile abbatterlo, distruggendo insieme alla costruzione fisica anche il simbolo che rappresentava. Qui il muro c’è ma non si vede, per questo è molto più difficile da abbattere. Il muro non è per le strade, ma nella nostra testa. Io credo che noi cittadini della ex-Jugoslavia non siamo popoli diversi, siamo semplicemente tutti slavi, ognuno con il proprio credo, laico o religioso che sia. Prima della guerra Mostar vantava il record del maggior numero di matrimoni misti tra sposi di confessioni religiose differenti, ora non è più così ma questo fenomeno esiste ancora, è una speranza”.
Zlatko Serdarevic, ex giornalista, fa professione di ottimismo quando ci parla dell’inedita proposta, realizzata dal “Centar za Mir”, di una nuova Costituzione per il paese. Spera che venga discussa ed accolta dalla classe politica perché è pensata e scritta per indirizzare, in modo democratico e rispettoso delle varie entità, questo meraviglioso e travagliato Paese oggi sempre più lacerato e con  un futuro incerto. Vedremo se ci sarà un risultato positivo.

Spero davvero che l’ottimismo di Zlatko sia il preludio di un cambiamento. Questo, infatti, è un paese che vive diviso. Ha due sanità, due servizi ed uffici postali con francobolli che valgono solo da una parte e non dall’altra, due società elettriche, due tribunali. Ha diviso tutto e tutti, perfino, in alcuni casi, anche i cimiteri.
E soprattutto mantiene due tipi di scuole dalle elementari alle superiori: quella che fa riferimento alla parte musulmana e quella che fa riferimento alla parte croata. Sono 55 le scuole di Mostar, ma i bambini studiano due tipi di storia, due geografie, due lingue diverse ed al pomeriggio, nella maggior parte dei casi, non giocano assieme. Perché da una parte ci sono le famiglie e la comunità dei musulmani e dall’altra quella dei croati. Entrambi nazionalisti ed irriducibilmente divisi. Su tutto. Le materie considerate di rilievo nazionale al 25% vengono scelte sul gruppo di appartenenza. Così la città di Mostar che vanta un ricostruito ginnasio fondato 123 anni fa dall’impero austro-ungarico dove si insegnava latino, greco antico, tedesco, ungherese, turco e bosniaco, che aveva un corso di violino ed un altro di canto, ora ha cancellato tutto. “Un apartheid - ci viene detto - come nel Sudafrica prima di Nelson Mandela. La città cosmopolita di prima della guerra non esiste più perché i cittadini che sono emigrati, o si sono trasferiti in altre zone della Bosnia Erzegovina o sono morti, sono stati rimpiazzati da una popolazione che proviene dall’area circostante ed ha sempre vissuto in piccoli villaggi con mentalità più chiusa e diffidente”. Uno stato che conta circa 3 milioni e 600 mila abitanti ed 80 partiti, un partito ogni 45 mila abitanti, ha, a turno, 3 presidenti della Repubblica (1 nazionale della Bosnia Erzegovina, 1 dell’entità Federale ed 1 della repubblica Serba), 1 presidente del territorio di Brcko, 14 primi ministri nazionali, 130 ministri centrali delle diverse entità, 1 parlamento nazionale, 2 parlamenti delle entità, 1 parlamento di Brcko, 10 parlamenti cantonali. Un totale di circa 7 mila politici. Secondo la caotica e cervellotica suddivisione nazionale decisa con gli accordi di Washington e poi di Dayton, il 44% dei posti spetta ai bosniaci musulmani, il 38% ai serbo bosniaci il 14% ai croato bosniaci. Gli altri: ebrei, italiani, magiari, sloveni, turchi e tutte quelle persone che non vogliono essere catalogate in un gruppo sono definiti “altri” e sono cittadini di serie B, senza alcuna rappresentanza. L’altra zavorra che frena la crescita del paese è la corruzione. Nella classifica di Transparency International, che cerca di misurare il grado di corruzione, si piazza al 76° posto nel 2015 su un totale di 168 paesi (nel 2014 era all’80° posto). “Dobbiamo pagare una tangente al burocrate di turno anche per piazzare una pompa dell’acqua nell’orto” ha confidato Enisa  Bukvic, scrittrice, intellettuale e nostra guida in questo tour.
Il 70% del bilancio statale è destinato al mantenimento del ceto politico mentre il tasso di disoccupazione rimane al 45% su 1 milione ed 800 mila persone attive. Per fortuna  arrivano le rimesse di chi è emigrato, e continua ad emigrare. Ma la seconda generazione non avrà più legami stretti con la madrepatria. Può uno stato vivere ed assicurare il benessere, la stabilità, la sicurezza e la giustizia ai propri cittadini? Domanda retorica ovviamente. A parte le considerazioni morali o sociali parafrasando Albert Einstein potremmo dire che l’economia (come il cervello) funziona solo se si apre. Forse lo hanno capito meglio di altri due gruppi di donne che abbiamo incontrato. La prima presso il Centro Kos è l’Associazione Univerzum, attiva anche nella multiculturalità e diritti delle donne (sostenuta da MirniMost di Reggio Emilia), e la seconda la cooperativa Orhideja della cittadina di Stolac. Sono donne di diverse età, di diversi gruppi sociali e diverse religione che hanno messo assieme i talenti, la voglia di riscatto, la cultura, ed un’idea di  dignità femminile che non sempre è compresa ed apprezzata. Ma sono toste queste donne. Quelle di Orhideja hanno messo in piedi una cooperativa agricola, hanno acquistato un trattore, lavorano campi, frutteti ed orti e frutti ed ortaggi raccolti vengono confezionati e venduti. Ma si vendono pure vestiti, ricami ed oggetti di arredo, si insegna alle giovani donne un nuovo modo per procurarsi un piccolo reddito anche nel campo dell’assistenza dei malati e nella cura dei bambini. Tenui segnali di riscatto come l’evangelico granello di senape.
A 150 Km da Mostar c’è la città di Sarajevo dove appena un secolo fa alcuni colpi di pistola incendiarono il mondo. I muri che oggi separano la gente della Bosnia Erzegovina sono l’equivalente di quei colpi di pistola.

I muri, la storia lo insegna, non sono la soluzione, ma il problema. Proprio come il filo spinato depositato ai bordi dell’autostrada fra Croazia e Slovenia, o lo sbarramento fra Austria e Italia o quello in Ungheria e in Macedonia. Politici ed amministratori dovrebbero andare a Mostar per rendersi conto di quanti guasti provoca la politica del muro, dei fossati, delle barriere, del filo spinato. Ascoltando le testimonianze mi sono venute spesso in mente le parole profetiche di papa Francesco quando parla di muri da abbattere e ponti da costruire. Parole chiare ed inequivocabili.

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