Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Cellulari: il mezzo che scegliamo per comunicare dice chi siamo
Non tutto ciò che inventano, siamo obbligati a comprare, fare o usare.
Non siamo obbligati a innestarci un microchip nel cervello né, per esempio, a mandare messaggi vocali.
Sì, a un certo punto li hanno inventati e con le novità non viene mai data la relativa “netiquette”, la buona educazione, per farla breve.
Naturalmente ognuno fa quel che crede, magari tenendo presente che se il suo tempo è poco importante, non così per quello degli altri.
Dunque le telefonate, a orario opportuno, servono per comunicare, non per conversare, nonostante si abbia il piano tariffario con minuti illimitati.
Le videochiamate, invece, sono molto più confidenziali e devono essere concordate: chi ha persone care lontane sa bene quanto siano importanti.
I messaggi scritti, sempre in orario almeno decente, sono ancora una volta delle comunicazioni, per cui, se c’è un papiro da scrivere, hanno inventato le e-mail.
I messaggi, poi, non dovrebbero mandare bacini e cuoricini proprio a chiunque e dovrebbero avere almeno la maiuscola sul nome proprio del destinatario che ci accingiamo a disturbare.
Nei gruppi Whatsapp e simili, solo messaggi scritti e brevi e solo se riguardano tutto il gruppo, sennò si scrive direttamente al Pierino di turno.
Consapevolezza, poi, che i nostri cavalli di battaglia in genere emozionano solo noi: tipo i buongiorno con frase motivazionale, i meme su gatti e bambini, i video delle persone che cadono, ciò che stiamo mangiando al ristorante o arrivare primi alle notizie del giorno.
Infine, i messaggi vocali: tutti li detestano, troppo pochi ci ragionano su un attimo.
Il sottinteso del vocale è chiaro: io non ho tempo per scrivere una sola frase breve e di senso compiuto, quindi tu devi trovare, prima possibile, il tempo per ascoltare le mie quattro acche piene di “em em”, di “così faccio prima” e di “scusa sto facendo manovra e davanti ho uno che non si sbriga a svoltare”.
Primo presupposto, per chi non ci ha mai riflettuto: il mittente del vocale non ritiene il destinatario degno del suo tempo; secondo presupposto: registrare e inviare la propria voce significa non cercare (né accettare) il dialogo.
Infatti, il padre dei vocali non è il telefono, ma il walkie-talkie, il dispositivo inventato tanti anni fa per impartire ordini militari e far obbedire i subalterni, non per dialogare o chiedere opinioni tra pari.
I tratti della dinamica passiva-aggressiva, egocentrica e non proprio elegante ci sono tutti, per il The Emily Post Institute, secondo cui si tratta di un monologo in cui non è previsto l’intervento di un interlocutore, quindi non il massimo del rispetto e dell’educazione verso gli altri.
Insomma, i vocali sono, anche per chi ne fa uso inconsapevole, l’ultimo atto della vittoria dell’ego
sulla relazione.
E se chi risponde al vocale lo fa con un testo scritto, è evidente che sta proprio dicendo “rispettami, perché la prossima volta neppure ti ascolterò”.
Prima ancora del contenuto di quello che comunichiamo, è il tramite che scegliamo a dire di noi.