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Perdersi per mettersi in gioco

A esplorare il mondo, essenziale per lo sviluppo cognitivo, si dovrebbe cominciare da bambini. Camminiamo seguendo nuovi sentieri e spostiamoci lasciandoci guidare dalla strada, permettendoci anzi di cambiarla per trovarne di nuove (e migliori)

11/03/2022

Orientarsi nello spazio da soli, consultando una mappa o cercando informazioni attendibili da qualcuno, è diventata un’esperienza assai rara.

Oggi app e navigatori impediscono a chiunque di perdersi. Certo, forse non è più in gioco la sopravvivenza come per i nostri antenati, ma orientarsi nello spazio resta importante ed è perfino simbolico: una parte della nostra identità è sicuramente legata al sapere dove siamo e dove vogliamo andare. Non solo, il disorientamento nello spazio è uno dei primi sintomi della demenza: per avere orientamento è necessario in primis avere memoria. Specifici neuroni permettono di orientarsi nello spazio: si tratta di un sistema complesso, basato su spazio e tempo, contenente informazioni verbali che in particolare si agganciano ai ricordi e ad altri elementi cognitivi.

In un processo che mette in gioco precise aree cerebrali, ma anche molte componenti esperienziali. Non si tratta semplicemente di creare nei bambini o mantenere negli adulti una competenza, perché potremmo sempre trovarci… “senza campo”. La capacità di orientarsi richiama piuttosto l’importanza esistenziale del “trovare la propria strada”, in senso e letterale e metaforico, perché è la capacità di orientarsi che ha fatto degli esseri umani quello che finora sono.
Inoltre, solo se si ha capacità di orientarsi, si possono prendere decisioni consapevoli.

A esplorare il mondo, essenziale per lo sviluppo cognitivo, si dovrebbe cominciare da bambini. Purtroppo, quelli di oggi hanno sempre meno possibilità di farlo: c’è poco tempo e poca sicurezza in giro, per cui l’auto dei genitori o dei nonni è la navicella spaziale che accorcia le distanze e tiene lontani i pericoli.
Eppure, sappiamo che è solo l’esercizio concreto che potenzia il muscolo e che per ottenere risultati serve un reale addestramento sul campo, non l’esperienza virtuale di un videogioco. Non c’è dubbio quindi che sostituire un’abilità cognitiva con la tecnologia abbia delle conseguenze sul cervello.
Tant’è che in assenza di esperienze concrete, si è sviluppata la disciplina sportiva dell’orienteering.

Proprio dagli studi sull’orienteering arriva anche un’informazione che sfata l’idea dello scarso senso dell’orientamento femminile: oggi non si rileva una differenza significativa tra i sessi, salvo in quelle società in cui, purtroppo, non è permesso alle donne di uscire di casa o di guidare la macchina.
Questi studi mostrano, inoltre, che uno spiccato senso dell’orientamento ben predispone a estroversione, coscienziosità, apertura mentale e fiducia in se stessi.

Questa pandemia ha rivalutato tutte le attività all’aperto, orientanti e socializzanti, scoutismo in primis. E in ogni caso, proprio perché non abbiamo spesso occasione di farlo, camminiamo seguendo nuovi sentieri e spostiamoci lasciandoci guidare dalla strada, permettendoci anzi di cambiarla per trovarne di nuove (e migliori). In fondo, non perdersi mai significa anche non essersi mai messi in gioco, nella vita, veramente.

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