Solo eccentrico o anche pericoloso?
Quelle che molti ritenevano delle “sparate” un po’ eccentriche di...
Guai a separare il brano di questa domenica da quello di domenica scorsa, separare l’annuncio dei “beati” dall’atteggiamento che quell’annuncio vuol far nascere. Altrimenti ci collocheremmo nella prospettiva di uno sforzo di volontà enorme e insieme inefficace.
Arrendersi al male? La proposta, infatti, è di una radicalità tale da risultare, se siamo onesti, del tutto superiore alle nostre forze. “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano... A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra... a chi ti strappa il mantello, non rifiutare la tunica... a chi prende le cose tue, non chiederle indietro”. È un elenco di azioni impossibili alla stragrande maggioranza di noi. E può sembrare una morale da codardi, che giustifica la passività di gente incapace di difendersi. Più grave ancora: può apparire un incitamento ai potenti, ai violenti, agli aggressori a far del loro peggio, devastando la dignità di ciascuno. E condannando a morte ogni speranza di giustizia, di eguaglianza, di fraternità, di libertà, ogni possibilità del più debole di veder riconosciuti e rispettati i propri diritti. Sembrerebbe un “ordine di resa” all’ondata incombente degli strapotenti che si va spudoratamente innalzando in questi tempi, a travolgere ogni fragile giustizia, ogni istanza del diritto. E invece...
Una risposta inverosimile. Invece, l’indicazione di Gesù non è di ritirarsi impauriti, o sconsolati, o sconfitti di fronte a tanto strapotere, quanto, piuttosto, di mettere in atto azioni che rispondano in maniera altra ai prepotenti di turno. Letteralmente, chiede di fare il bene a chi ci fa del male. È, quindi, ancora una volta, una scelta di fede: se decidi di fidarti del Dio che dona il suo Regno ai poveri, che sfama chi è affamato, che consola chi piange, che assicura pienezza di vita a chi rischia la sua scegliendo di seguire Gesù (Lc 6,20-23), allora accetta con responsabilità le scelte conseguenti a questa decisione fondamentale. È uno sconvolgimento simile a quello dei “beati” e dei “guai”: lì si proclamava “felice” chi per noi è più lontano dalla felicità, qui si chiede di fare il bene a chi ci fa del male, cioè a chi consideriamo più contrario al nostro bene: chi ci è nemico, chi ci manifesta odio, chi ci tratta male, con ingiustizia e perfino con violenza. Chiama cioè ad andare oltre la reciprocità che può ispirare una condotta positiva, oltre il rispondere con il bene al bene. Paolo dirà, in maniera lucida ed efficace: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male» (Rm 12, 2 1 ; vedi 1Pt 3,9).
Rispondere insieme a Dio. Non è, quindi, un atteggiamento rinunciatario e passivo quello a cui chiama il Dio delle beatitudini: è una decisione che deliberatamente mette in atto risposte creative di amore agli atteggiamenti di odio e di morte. È la “costruzione di una reciprocità nuova”, che si fonda sul modo di fare di Dio, e che spera di creare risposte di bene perfino in coloro che ci vogliono male. Ma non condiziona il nostro comportamento nei loro confronti alla loro risposta positiva: “Se loro si convertono, allora...”. Piuttosto, ci chiama a fare quel che fa lui, il Dio che per primo offre misericordia senza limiti a ogni uomo e donna, perfino agli “ingrati e malvagi”. Ci invita a dare senza misura, fidandoci che lui farà altrettanto con noi, anzi, ancora di più, fino a farci “traboccare il grembo” in una fecondità ben oltre le nostre attese. Anzi, lui anticipa il nostro donare agli altri donandoci se stesso in Gesù. Donandoci la sua presenza, tutta la vitalità del suo Spirito, tutta la cura e la vicinanza che Gesù ha manifestato nella sua vita, resa sovrabbondante dalla Pasqua.
Certo, ancora una volta, all’orizzonte vi è l’intera vicenda di colui che è stato rifiutato fino a essere condannato a una morte infame sulla croce, e che questo rischio possa essere reale anche per noi, in tanti modi diversi.
Risposte da costruire insieme. Una considerazione può aiutarci a non ritrarci impauriti di fronte a questa possibilità: non siamo chiamati a rispondere da soli. Sicuramente secondo la propria personale responsabilità, ma non da soli. Siamo chiamati, insieme, a costruire relazioni in cui cresca una solidarietà che sostiene la nostra risposta di bene ai “nemici”. Una risposta che rifiuta la violenza, ma che soprattutto costruisce condizioni per soluzioni diverse, per un bene di cui prendersi cura, perfino dentro reazioni di ostilità e di distruzione. Condizioni da far crescere insieme ad altri “uomini e donne di buona volontà”, con cui condividere simile impegnativo cammino.