Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
III Domenica di Avvento: Gesù, una promessa di vita feconda
Nella terza domenica di questo Avvento incontriamo Giovanni, «colui che battezza». Il breve brano evangelico propone due passaggi importanti: un modo di comportarsi e il motivo per cui convertirsi.
Un comportamento che porti frutto
Il testo si articola dapprima in un dialogo di Giovanni con tre interlocutori diversi, passando da un’indicazione generale a specificazioni che mettono in campo due categorie di persone a quel tempo considerate fortemente a rischio di perdizione. La domanda delle «folle» dà l’occasione a un’esortazione che orienta a un comportamento capace di tener conto di chi è nel bisogno, bisogno concreto, di vestiti, di cibo. E di farlo condividendo quanto si ha. Potrebbe essere considerato un “comandamento” già in linea con l’insegnamento di Gesù, e forse lo è, in quanto rilettura evangelica del messaggio di Giovanni.
Le domande successive provengono da pubblicani e da militari, ovvero due tipi di mestieri malvisti perché portati a depredare gli altri approfittando del potere che il loro ruolo comportava. L’indicazione è di rimanere entro i limiti posti dalla giustizia, trattando gli altri con rispetto e senza prevaricazione. Potremmo ricordare l’esortazione evangelica: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). Presentando queste due categorie di persone, l’evangelista vuole far presente alla comunità che nessuno va escluso dall’appello alla conversione e alla possibilità di lasciarsi “cambiare il cuore”: se perfino «pubblicani e soldati» chiedono «cosa dobbiamo fare», allora nessuno può pensare di non essere destinatario della chiamata a cambiar vita.
Nell’attesa di “Colui che viene”
Subito dopo si presenta la motivazione per cui diventa importante rispondere all’appello: «Viene colui che è più forte di me. Vi battezzerà con Spirito Santo e fuoco». Nell’annuncio di Giovanni vi è tutta l’urgenza dei tempi ultimi, quelli decisivi per la storia del mondo e delle persone. In lui è forte la sottolineatura del giudizio, con la minaccia del «fuoco inestinguibile» (v. 17), della «scure posta alla radice degli alberi» pronta a tagliare chi non dà «buon frutto» (v. 9). Eppure, poco sotto si dice che egli «evangelizzava il popolo» (v. 18): la reinterpretazione dei discepoli di Gesù rispetto al messaggio di Giovanni è comunque di tono positivo. L’annuncio “lieto” è che il Cristo sta venendo, è vicino colui che compirà le promesse di vita fatte da Dio a Israele. Per questo diventa ancor più importante lasciarsi coinvolgere in scelte che si preparino ad accoglierlo. E le scelte indicate nei versetti 10-14 sono senz’altro in linea con ciò che Gesù proporrà.
Disponibili a cambiare
E noi, siamo tra coloro che sono
«in attesa»? Sarebbe già un atteggiamento che permette di essere disponibili a un cambiamento, soprattutto se non è originato dalla paura di ciò che potrà accadere.
Nel testo ciò che si chiede riguarda la vita quotidiana: rispettare gli altri senza abusare del potere dato da un ruolo, ma, ancor più importante, saper prendersi cura di chi è nel bisogno, condividendo quel che si ha, quel che può essere necessario a una vita dignitosa. Che si tratti di beni o di attenzioni che fanno crescere le relazioni. E questo perché avvertiamo in noi stessi un bisogno, o forse meglio un desiderio: che la nostra stessa vita possa ritrovare fecondità di bene e di futuro.
Sorpresi da una sovrabbondante fecondità
Qui si innesta una diversità fra ciò che Giovanni propone e quel che sarà l’appello di Gesù: quest’ultimo chiederà il dono dell’intera propria vita «per causa mia» (Lc 9,24), cioè a servizio del «prossimo» da amare «come te stesso» (Lc 10,27). «Colui che viene», infatti, sorprenderà le nostre attese come ha sorpreso quelle di Giovanni (Lc 7,19). Le sorprenderà per la profondità del cambiamento di cui rende capace il nostro cuore, grazie al dono del suo Spirito: a chi lo accoglie, moltiplica la forza di amare, di sperare, di affidarsi alla sua venuta – di donare la propria vita perché diventi sorprendentemente feconda.
Già la domanda di chi si rivolge a Giovanni è disponibilità a portare “frutto buono” di conversione: il dono che Gesù porta con sé rende la nostra vita capace di straripante fecondità. Quella stessa che lui vivrà fino in fondo: «Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Come comunità e come singole persone, dentro le responsabilità del quotidiano e i ruoli sociali e lavorativi che ciascuno è chiamato a svolgere, accogliamo «il più forte nell’amore», che viene a renderci messe sovrabbondante per il pane di tutti.