Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Comuni: tagli spietati, servizi a rischio
Una legge di Bilancio che azzera i contributi ai Comuni. Lo segnala l’Associazione per la sussidiarietà e la modernizzazione degli Enti locali (Asmel), che riunisce 4.500 Comuni italiani, perlopiù piccoli e medi. “Abbiamo segnalato la situazione al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, con una lettera aperta all’inizio di dicembre. Alla fine, si rischia di arrivare anche a 8 miliardi che mancano ai Comuni. Sommando la «spending review» e le limitazioni alle assunzioni, si configura un serio pericolo per territori già in difficoltà”. Il commento è del presidente, Giovanni Caggiano.
“L’approvazione della legge non ha portato novità rilevanti: erano fondi che i Comuni potevano usare per l’efficientamento energetico, per la manutenzione straordinaria, per la sicurezza delle infrastrutture e contro il dissesto idrogeologico. Erano fondi distribuiti sulla base della popolazione, al di fuori della logica competitiva dei bandi, a cui gli Enti locali potevano sempre fare riferimento. Ora non ci sono più. A Giorgetti abbiamo proposto di utilizzare residui di fondi europei: la soluzione c’è, se la si vuole. L’importante è che sulla base degli abitanti venga previsto uno specifico contributo”. Il taglio nella legge di Bilancio del Governo Meloni che ammonta secondo il neo presidente dell’Anci, Gaetano Manfredi, a 4,5 miliardi destinati ai Comuni nei prossimi 5 anni, con il rischio di paralizzare i servizi nelle città e nei paesi.
In una lettera successiva, prosegue Caggiano, “abbiamo chiesto un incontro alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e raccolto già 500 adesioni. Il problema è che, oltre ai fondi del Pnrr e ai bandi europei, occorre garantire ai Comuni fondi ordinari. A volte, il bando lo vince il Comune che meno ha bisogno. In passato, il sistema si è rinsecchito sulla spesa storica. Noi proponiamo il modello spagnolo, che garantisce un fondo annuale su base demografica, pensato per i piccoli Comuni”.
Quindi, l’ulteriore esortazione: “Abbandoniamo questo bigottismo amministrativo, dove l’apparato burocratico assorbe i due terzi degli sforzi del nostro personale. La burocrazia non deve essere un fine, ma un mezzo per ottenere risultati chiari e verificabili”.
Si riferisce anche alla centrale acquisti Consip?
Per ogni acquisto dobbiamo farvi riferimento, sarebbero garantiti prezzi più convenienti grazie ai grandi volumi. Tuttavia, uno studio condotto per noi dall’Università Bocconi dimostra che per la maggior parte dei prodotti e dei servizi, il ricorso a Consip è antieconomico o inadeguato. Il 95 per cento dei Comuni ha un tasso medio di adesione del 25 per cento. Però se non si utilizza Consip, ci si espone al rischio di indagini della Corte dei Conti, alimentando, così, una burocrazia difensiva che non raggiunge alcun obiettivo.
E sul personale?
Per anni, la “spending review” ha bloccato il turnover. Non sostituivano il personale che andava via. Ora le maglie sono più larghe e questa Finanziaria ha evitato il blocco. Come Asmel, abbiamo realizzato un protocollo che ha consentito ai Comuni di assumere due o tre unità in poche settimane.
Fusioni o aggregazioni di servizi potrebbero essere una soluzione?
Sono operazioni virtuose, ma vanno lasciate alla libera scelta del territorio. La riforma del 2010, che creava un obbligo di fatto, esautorava i sindaci eletti ed è stata giustamente dichiarata incostituzionale. Noi promuoviamo l’associazionismo dei servizi, non delle funzioni. Non sempre il Comune limitrofo è il partner ideale; in certi casi, è più utile collaborare con Comuni distanti. Come Asmel, abbiamo creato una centrale di committenza, con 1.600 Comuni, portando a termine 6 mila gare. Serve valorizzare l’associazionismo e la libera scelta, evitando modelli imposti che in passato hanno prodotto risultati nefasti”.