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Riforme, il Governo tenta con il premierato

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale su quello che tutti definiscono correntemente “premierato”. Il testo si compone di cinque articoli e modifica quattro articoli della Costituzione: il 59, l’88, il 92 e il 94. Un intervento all’apparenza circoscritto, ma che va a incidere profondamente sulla forma di governo e sugli equilibri complessivi del sistema

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale su quello che tutti definiscono correntemente “premierato”. Il testo si compone di cinque articoli e modifica quattro articoli della Costituzione: il 59, l’88, il 92 e il 94. Un intervento all’apparenza circoscritto, ma che va a incidere profondamente sulla forma di governo e sugli equilibri complessivi del sistema.

La stessa premier Meloni - che in precedenza aveva già dichiarato l’intento del Governo di “cambiare l’architettura istituzionale della Nazione” - al termine del Consiglio dei ministri l’ha definita “madre di tutte le riforme”.

Il cuore del progetto è nell’articolo 3, laddove si afferma che “il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni”. Una legge ordinaria dovrà disciplinare il sistema elettorale delle Camere, “secondo principi di rappresentatività e governabilità”, ma, intanto, il ddl punta a costituzionalizzare il principio maggioritario: un “premio” dovrà garantire il 55% dei seggi alle liste e ai candidati del presidente del Consiglio eletto.

Nel testo si specifica anche che per il premier e per i due rami del Parlamento si voterà “tramite un’unica scheda elettorale” e che il Presidente del Consiglio “è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura”: quindi, sarà necessariamente un parlamentare. Il presidente della Repubblica conferisce inevitabilmente l’incarico di formare il Governo al premier eletto e “nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri”.

L’articolo 4 contiene le norme sul rapporto con il Parlamento e soprattutto quelle pensate per impedire i cosiddetti “ribaltoni”, divise in due paragrafi. Questo è il primo: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo, presieduto dal presidente eletto, il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”. Nel secondo paragrafo si regola il caso di “cessazione dalla carica” del premier; per qualsiasi motivo, si può intendere, dato che il testo non ne indica alcuno in particolare. In questa circostanza non si torna obbligatoriamente alle urne, ma “il presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del presidente eletto ha ottenuto la fiducia”. Dunque, il premier eletto può essere sostituito da un altro parlamentare (non un tecnico) che appartenga alla stessa coalizione e per attuare lo stesso programma. Questa sostituzione può avvenire una sola volta nella legislatura perché se il “presidente del Consiglio subentrante” non ottiene la fiducia o comunque cessa dall’incarico, si torna obbligatoriamente al voto.

L’articolo 1 del ddl elimina la figura dei senatori a vita nominati dal Capo dello Stato. Quelli attualmente in carica restano tali. Ma per il futuro senatori a vita saranno soltanto gli ex-presidenti della Repubblica. (Stefano De Martis)

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