Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Agricoltori, vittorie “a tempo”?
Per gli agricoltori si può certo parlare di una vittoria. Dopo oltre 15 giorni di proteste tra l’Europa e l’Italia, il vasto e variegato movimento di coltivatori ha ottenuto infatti più di importante risultato. Anche se non tutti sono soddisfatti e, soprattutto, pur tenendo conto che gli effetti dell’impianto della Politica agricola comune non sono stati modificati, ma in qualche modo “congelati” e per ora quindi non entreranno in vigore. Rimane un dato di fondo: si sono dovuti fare i conti con un movimento in parte spontaneo, in parte strumentalizzato da estremismi diversi che, comunque, è riuscito a far sentire una voce forte, pur se non sempre secondo i consueti canoni della dialettica tra le parti sociali ed economiche.
In Italia, certamente il dato più importante riguarda l’esenzione totale dall’Irpef agricola di cui beneficeranno, secondo calcoli fatti da Coldiretti, “9 aziende agricole su 10, pari a 387mila, mentre altre 20mila vedranno l’imposta dimezzata”. Questo almeno per due anni. Sul resto delle imprese agricole, l’esenzione verrà calcolata in forma progressiva e riguarderà il totale delle 430 mila imprese agricole professionali e coltivatori diretti.
In Europa, i risultati più significativi possono essere ricondotti a due. Da una parte, è stata sancita la deroga all’obbligo di lasciare incolta una percentuale di terreni. Un comunicato della stessa Ue ha informato infatti che “la Commissione europea ha adottato ufficialmente un regolamento che concede agli agricoltori europei un’esenzione parziale dalla regola di condizionalità per i terreni lasciati a riposo”. La deroga vale per un anno e, spiega sempre l’Europa, “tiene conto di diverse richieste di maggiore flessibilità da parte degli stati membri, per rispondere meglio alle sfide cui devono far fronte gli agricoltori dell’Ue”. Oltre ai terreni, l’Ue ha concesso anche – e molto – sul fronte dell’uso dei pesticidi: la proposta di direttiva che imponeva limiti più stringenti al loro uso è stata semplicemente ritirata.
Tutti contenti? E’ possibile affermare che c’è soddisfazione, ma non totale. Non sono totalmente soddisfatti i rappresentanti dei movimenti spontanei ed estemporanei che hanno caratterizzato la protesta (e che sono comunque riusciti a farsi ascoltare dal grande pubblico, addirittura utilizzando il Festival di San Remo, così come dalle istituzioni). Non sono totalmente soddisfatti Coldiretti, Confagricoltura, CIA-Agricoltori italiani e le altre sigle più consolidate del panorama di rappresentanza del mondo agricolo. Coldiretti il 26 febbraio condurrà un’altra manifestazione a Bruxelles per, viene spiegato, ottenere risposte rispetto alle esigenze degli agricoltori italiani in occasione della presentazione della nuova proposta sulla Pac. Confagricoltura, da parte sua, ha ricordato quanto sia delicato questo momento storico “nel quale l’agricoltura europea si trova sotto pressione, segnata da una drammatica contrazione del reddito e da una grave destrutturazione produttiva”.
Palazzo Chigi per l’Italia e la Commissione per l’Europa sembrano per ora aver detto: “Vi abbiamo ascoltato”. Anche se, a detta sempre dei produttori agricoli, molto resta ancora da fare.
Ad iniziare, per esempio, dal carico burocratico a cui le imprese sono sottoposte per arrivare alla serie di accordi di libero scambio che l’Europa ha comunque avviato o vuole avviare. E senza tralasciare il fatto che quanto ottenuto è comunque in via temporanea, una sorta di “vittoria a tempo” in attesa di sviluppi che dovranno comunque esserci e la cui natura è piuttosto vaga.
Rimane la sensazione che il fuoco covi ancora sotto le ceneri della protesta, mentre all’orizzonte si profila la necessità di una nuova politica agricola comune. Una politica che riesca a superare gli ecologismi di maniera e la paludi della burocrazia. Una politica che dovrà essere molto diversa da quella attuale e riuscire a contemperare esigenze di tutela dell’ambiente con quelle di tutela dei redditi degli agricoltori, esigenze di competitività con quelle di salubrità degli alimenti, necessità di arrivare a grandi produzioni competitive con quella di preservare la miriade di tipicità agroalimentari di cui l’Europa e in particolare l’Italia sono ricche, l’obbligo di evitare nuovi muri senza però che il libero scambio si trasformi in libero arbitrio commerciale. Una politica che, tra l’altro, preveda anche l’entrata nella compagine europea di grandi stati agricoli come l’Ucraina. Una politica agricola che, infine, non abbandoni l’obiettivo primario dell’agricoltura: produrre cibo sano e controllato per tutti.